Abramo di nuovo sindaco e la debacle del centrosinistra

I primi momenti dopo la quarta vittoria del sindaco uscente riconfermato, lo spumante a fiumi nell'entourage abramiano e le facce scure in zona democrat 

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    di Danilo Colacino – Chi vince esulta, chi perde spiega. Si dice così nel calcio, ma è una frase che può valere anche nella politica e più in generale nella vita. Ecco dunque che nella tardissima serata di ieri, dopo il ballottaggio, mentre nell’entourage abramiano lo spumante scorreva a fiumi, nel centrosinistra e nel Pd in particolare le facce erano scure e le disamine trincianti. Tanto autocritiche da sembrare quasi proposte da esponenti avversari. E già, perché i deludenti numeri del candidato a sindaco Enzo Ciconte al primo turno si sono nel frattempo trasformati in “inguardabili” dal punto di vista dei componenti del vasto fronte antiabramo. Una debacle francamente impronosticabile nelle proporzioni, con percentuali che solo sommate fra le due tornate avrebbero potuto arridere – e peraltro di pochissimo – all’alfiere dei Democrat. Un fatto troppo eclatante per passare inosservato. A riprova l’impietosa analisi sul voto di due giovani protagonisti della competizione (Antonio Menniti del Pd e Antonio Giglio di Cambiavento) ospiti di Catanzaroinforma insieme al giornalista Antonio Cantisani. A cominciare da Menniti, che con coraggio e schiettezza ha messo sul banco degli imputati i vertici locali e soprattutto regionali del suo partito fino al punto di evocare la necessità di un “passo indietro” da parte del segretario dei Democratici calabresi Ernesto Magorno. Non meno perentorio Giglio, che ha stigmatizzato l’atteggiamento di chiusura nei confronti di Nicola Fiorita e del vero rinnovamento incarnato dallo stesso prof.

    Un intellettuale, quest’ultimo, che da solo ha sfidato due corazzate, arrivando a un soffio da un clamoroso accesso al secondo round. Un’opinione molto diffusa in città, una Catanzaro che guardava a Fiorita con forte simpatia. Anzi, forse persino con la speranza che potesse dare il tanto auspicato slancio al capoluogo. Il docente dell’Unical, tuttavia, non ha convinto i maggiorenti del Pd regionale, che hanno optato per l’esperienza di un ex vicegovernatore e assessore di peso della Giunta Oliverio. Peccato per loro, però, che il consigliere regionale Ciconte, dati alla mano, non abbia “catturato” l’elettorato. I sogni del centrosinistra allargato si sono quindi infranti sullo scoglio della realtà. Una realtà che non ha ad esempio assecondato il disegno di sfondare il tetto del 50% di consensi con le liste al primo turno. Le undici compagini allestite hanno infatti totalizzato un 45% scarso che non ha consentito alla coalizione di ottenere la maggioranza in consiglio comunale a prescindere dalle preferenze conseguite dal sindaco. L’inizio della fine per lo schieramento cicontiano che a quel punto ha cominciato una corsa contro il tempo, cercando una remuntada dalle possibilità di riuscita oggettivamente scarse. Ed allora ecco cadere molte “teste coronate” di membri di lungo corso della civica assise. Gente rimasta fuori a sorpresa dopo anni e anni passati in Aula Rossa. Comunque sia, macroscopico tanto da balzare subito agli occhi l’asfittico rendimento del Pd. Un 5% da incubo, roba da chiamare immediatamente lo chef stellato Antonino Cannavacciuolo per tentare di ribaltare la partita. In politica, però, è difficile trovare un taumaturgo che arriva e in una manciata di giorni tramuta una barca in avaria in uno splendido veliero con il vento in poppa. Una “magata” che, semmai possibile, necessita di parecchio tempo. Ragion per cui a quanti questo tempo lo hanno avuto non sembra che la base e anche qualche componente della nouvelle vague voglia concedere ulteriori chance. In particolare quando pensa alla circostanza che, pur considerando la comprensibile propaganda, abbia dovuto ascoltare all’indomani del round dello scorso 11 giugno tali dichiarazioni: “Come Pd abbiamo registrato uno dei migliori risultati dell’intero Sud”. Troppo stridente il contrasto fra quanto veramente accaduto nelle urne e la tesi che si tentava di asseverare.

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