‘Il dovere di parlare, il dovere di tacere’

La riflessione dell'avvocato Nunzio Raimondi sulle professioni che al contrario di quella forense hanno come imperativo il silenzio per le vicende altrui. Come quella medica

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    Qualche giorno fa mi sono soffermato sul rapporto fra la persona ed il ruolo ricoperto nella società. Ho scritto del contegno che, a mio parere, dovrebbe serbare l’incaricato di un pubblico ufficio, dipoi dell’aspetto che considero essenziale nella professione di avvocato.Discorrendo dell’indipendenza ho evidenziato come essa sia indispensabile alla professione poiché, senza questa, l’avvocato non può esercitare degnamente e coraggiosamente il proprio ruolo. Ho anche precisato che per essere coraggiosi bisogna essere indipendenti e come, in talune circostanze, si ha il dovere di parlar chiaro. Questo dovere fa dunque parte delle professione di avvocato, il quale ultimo ha sì il dovere d’esser riservato (su ciò che attiene alla causa ed al proprio cliente), ma ha anche il dovere di proclamare il giusto ed il vero, essendo il proprio demanio la parola e lo scritto per farsi intendere, manifestando liberamente il proprio pensiero.Ma oggi voglio brevemente soffermarmi sulle professioni e Magistrature che, al contrario che per la professione dell’avvocato, presentano, quale tratto essenziale, non già il dovere di parlare, quanto il dovere di tacere. Fra le professioni in cui il servizio al Prossimo, invero assai sacrificato, si sposa meglio con il silenzio che con la parola, metterò in primo piano la professione del Medico. Conservo un ricordo molto edificante di un medico condotto (poi di famiglia) di Catanzaro dell’epoca in cui ero ragazzino. Senza nulla voler togliere ai tantissimi che hanno per decenni servito – e servono tuttora – con dedizione e generosità (per noi catanzaresi il Servo di Dio, dottor Raffaele Gentile, oppure il medico dei bambini affetti da malattie del sangue, il dottor Antonio Alberti, che le mamme “onoravano” portando i bimbi vestiti da Sant’Antonio nel giorno del suo onomastico…), voglio qui ricordare un “eroe del quotidiano” di cui non ho mai letto in pubbliche riflessioni: il dottor Enrico Sacchi. Ne ho un ricordo chiaro:Giorno e notte, con la sua borsa da medico, girava in città di casa in casa per visitare e curare i suoi malati: non si risparmiava, sempre distinto, in giacca e cravatta, aveva una parola di conforto per tutti e, dopo la visita, si sedeva sempre un momento per discorrere cordialmente di varia umanità, ciò che lo rendeva in effetti uno di famiglia.

    Non ho mai udito che questo medico abbia parlato di cose altrui, non una parola di ciò che doveva certamente aver appreso nel corso della sua ampia professione, anche incidentalmente, mai una parola di troppo.

    Insieme, alla grande competenza, apprezzavo in lui quello stile elegante,il tratto umano sincero,quei suoi occhi profondi e quei silenzi serbati non soltanto in ragione della riservatezza professionale ma, in generale, per il rispetto che egli sentiva di dovere a quanti gli aprivano le porte delle loro case e lo interessavano delle loro cose più intime.

    Che bell’esempio di medico per i miei occhi di bambino!

    Se penso a ciò che son diventati oggi gli ospedali con alcuni medici, pettegoli di professione e/o frequentatori assidui dei media, i quali hanno trasformato il loro servizio in uno strumento per farsi avanti magnificando, ad ogni piè sospinto, i loro successi professionali, senza alcun riguardo per il silenzio che si deve saper tenere sulle cose intime del prossimo sofferente, vien da pensare a come si sia involuta questa stupenda professione, da aiuto per gli infermi ad aiuto per gli scalatori senza scrupoli.E ciò che è peggio è che questi “cattivi maestri” hanno fatto e seguitano a fare proseliti: si fanno avanti, infatti, piccoli replicanti pieni di se’, ricolmi di questa bramosia dell’evidenza, che non ha nulla a che vedere con la scienza medica, silenziosa quanto umile, ne’ con lo stile dell’uomo di scienza, il quale ha da essere consapevole che ogni risultato sperimentale può sempre essere superato da nuovi traguardi.

    Ne ho già scritto, ma forse conviene, infine, accennarne di nuovo: il silenzio – è noto – si addice anche ai magistrati.Ed anzi è proprio il sacro rispetto che essi dovrebbero serbare nei confronti di chi assume la “qualità” di imputato in un sistema garantito da due gradi di merito ed uno di legittimità – nei quali si pronunziano una gran quantità di giudici -, dovrebbe essere alla base del loro silenzio, senza grancasse mediatiche nei confronti di giudicabili,non colpevoli, se ben ricordo, fino a sentenza definitiva. Ed ora mi fermo, quantomeno perché una semplice riflessione non si trasformi in un sermone…di cui mi scuso, comunque ed in anticipo, con i “soliti detrattori”, adusi a parlare alle spalle di tutti: non farebbero bene anch’essi a tacere visto che fingono indifferenza soltanto perché non hanno la libertà ed il coraggio di parlare in pubblico, ma solo di dileggiare, rigorosamente in privato?

    Appena potrò scriverò anche sui politici: stiano sereni, non è una minaccia, ovviamente.

    Nunzio Raimondi

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