Uccisione maresciallo Mirarchi, il 45enne accusato: non sono stato io

L'interrogatorio, che si e' svolto nel carcere San Giuliano di Trapani

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    “Non ho ucciso il maresciallo Mirarchi”. Lo ha detto nell’interrogatorio di garanzia, Nicolo’ Girgenti, agricoltore incesurato di 45 anni arrestato per l’omicidio del maresciallo capo dei carabinieri Silvio Mirarchi lo scorso 31 maggio durante un pattugliamento. L’interrogatorio, che si e’ svolto nel carcere San Giuliano di Trapani ed e’ stato condotto dal sostituto della Procura di Marsala Anna Sessa, e’ durato due ore. Durante il colloquio, gli inquirenti hanno ricostruito gli indizi raccolti, evidenziando le incogruenze rispetto alla versione data da Girgenti durante il primo interrogatorio, avvenuto poco dopo l’uccisione di Mirarchi. “Girgenti, rispetto alle risultanze delle celle telefoniche e della scatola nera della sua auto – dice il suo avvocato Vincenzo Forti – ha fornito una versione compatibile con tutti gli elementi indiziari contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare”.

    L’uomo, sin dai giorni immediatamente successivi all’omicidio, e’ stato oggetto di indagini e nell’immediato e’ stato sottoposto all’esame Stub, un tampone in grado di rilevare le tracce di alcune sostanze, utilizzabile anche sugli abiti. “I risultati dell’esame – continua il legale – sono tutt’altro che schiaccianti. Nell’ordinanza si legge di un esito “compatibile” limitato a dieci particelle ritrovate sui suoi vestiti e una sul suo corpo. Inoltre sia il nichel sia il nichel rame, sono contenuti in molti dei fertilizzanti utilizzati da Girgenti”. Dalle indagini dei carabinieri, emerge la stretta connessione tra le sostanze e i bossoli ritrovati sul luogo del delitto, ma le armi non sono state ancora ritrovate. I reperti fanno riferimento a due armi differenti (una semiautomatica 9×19 ed una calibro 38) e gli inquirenti indagano nel tentativo di individuare il secondo autore dell’omicidio. Infine, Girgenti fino a marzo era il proprietario della serra nella quale e’ stata ritrovata una piantagione di marijuana. Poi l’avrebbe venduta a Francesco D’Arrigo, salvo monitorare i suoi spostamenti per sottrargli le piante di marijuana durante le sue assenze. Gli investigatori, in virtu’ di cio’, lo ritengono un “socio infedele”, ma durante l’interrogatorio Girgenti avrebbe dichiarato di “non avere mai investito nulla nella serra di D’Arrigo” in contraddizione a quanto emerge in un intercettazione raccolta dagli investigatori. In merito alla frequentazione della serra, i carabinieri hanno analizzato un mozzicone di sigaretta ritrovato all’interno, compatibile con il suo Dna. (AGI) 

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