Revenge, uno dei capitoli di storia criminale della città

Attesa per la sentenza della Corte di Cassazione per una delle operazione che svelò il sistema estortivo del capoluogo

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    Di Giulia Zampina

    Si pronuncerà domani la Cassazione su uno dei capitoli della storia criminale catanzarese, operazione Revenge, che portò, nel 2006, alla sbarra presunti capo clan. Quarantaquattro in tutti gli indagati nel 2006. Ma dal 2011 in poi l’intera geografia criminale catanzarese è cambiata.

    28 FEBBRAIO 2006…. L’INIZIO DI REVENGE

    E’ il 28 febbraio del 2006 quando la squadra mobile di Catanzaro, allora guidata da Francesco rattà, entra in azione contro    i presunti appartenenti alla cosca dei Gaglianesi.  Gli arresti furono eseguiti a Catanzaro, nel Lametino, e nella zona di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese. All’ operazione parteciparono  300 agenti della polizia di Stato. L’ accusa contestata nei provvedimenti restrittivi era l’ associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata ad estorsioni, usura e traffico di armi e stupefacenti. 

    L’ operazione confermò la pericolosità del gruppo degli “zingari”, nomadi di origine italiana, capeggiati dal pregiudicato Cosimino Abbruzzese, alia U tubu , ai quali l’ organizzazione mafiosa, dopo la rituale affiliazione, aveva demandato la gestione delle attività criminali nelle zone di Corvo, Germaneto e Catanzaro Lido del capoluogo calabrese. Ad Abbruzzese, secondo quanto è emerso dalle indagini, era assegnato anche il compito di coordinare le attività criminali dei gruppi di rom operanti nella provincia di Catanzaro. Profitti notevoli erano ricavati, in particolare, dal cosiddetto “cavallo di ritorno”, ossia dal furto di autovetture e veicoli commerciali, restituiti ai proprietari dopo il pagamento di ingenti somme di denaro. 

     

    ESTORSIONI ANCHE AL CATANZARO CALCIO 
    Tra le vittime delle estorsioni di cui si sarebbero rese responsabili le persone arrestate nel corso dell’ operazione condotta stamani dalla Polizia di Stato figurava anche il Catanzaro Calcio. In particolare emerse che alla società sarebbe stata imposta una guardiania per la vigilanza allo stadio per un importo che non è stato quantificato dagli investigatori. L’ estorsione, sarebbe andata avanti per anni con l’obbligo per il Catanzaro calcio di tenere tra i suoi dipendenti Daniele Marchio.

    I LEGAMI CON LE COSCHE CROTONESI 

    Nell’ inchiesta, era coinvolto anche Carmine Arena, ritenuto il boss dell’ omonima cosca di Isola Capo Rizzuto (Crotone), ucciso il 2 ottobre 2004, in un agguato nel corso del quale fu usato un bazooka. Nell’ occasione rimase ferito il cugino, Giuseppe Arena, di 40 anni, che risulta fra i destinatari dell’ ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro su richiesta della Dda. Carmine e Giuseppe Arena erano a bordo di una Lancia Thema blindata e stavano rientrando a casa, alla periferia di Isola Capo Rizzuto, quando i killer spararono contro il mezzo con un bazooka, distruggendolo. Carmine Arena morì sul colpo, mentre il cugino rimase gravemente ferito. L’ agguato fu inquadrato dagli investigatori nello scontro tra cosche per il predomino nel controllo del territorio.

    GLI ALIAS…I RAPPORTI TRA I GAGLIANESI E GLI ZINGRARI TRA PATTI E PESANTI FRIZIONI

    L’operazione Revenge  all’epoca portò alla luce la nuova mappa della criminalità catanzarese, gli intrecci tra la cosca più ‘antica’ quella dei Gaglianesi e l’allora emergenti zingari. Tutti riconoscibili tramite Alias.    “U Tubu”, al secolo Cosimino Abbruzzese; “Toro Seduto” (Domenico Bevilacqua) “Compare Gino” (Girolamo Costanzo); “Cavallo Pazzo” (Anselmo Di Bona “U Baruna”, “Chimichè”, “U Buffone”, “Nana”, “Cucuzza”, “A Ditta”, “U Biondu”… 
    Le indagini erano iniziate il  14 maggio 2002, quando un commercialista denunciò un tentativo di estorsione. Finì con un arresto ed un fermo, ma anche con ulteriori attività investigative: intercettazioni che aiutarono a delineare l’attività di una presunta associazione che vedeva protagonisti quei personaggi (Gino Costanzo, Anselmo Di Bona, Pietro Procopio, Lorenzo Iiritano, Francesco Trapasso) che in passato erano finiti sotto processo quali esponenti della presunta “cosca dei gaglianesi”, che agiva sotto il controllo del Clan degli Arena di Isola Capo Rizzuto. La novità emersa in Revenge, rispetto al vecchio clan capeggiato da Gino Costanzo (che, in carcere, era comunque considerato il vero leader), era comunque il sodalizio stipulato con gli zingari che però ad un certo punto si ribellarono alla predominanza dei gaglianesi: gli uomini di “Toro Seduto” mal volentieri sottostavano alle regole del gioco. 
    Dalle intercettazioni sono emersi anche gli incarichi assegnati ad ogni componente; incarico di primo piano quello affidato a Pietro Procopio, uno della ” vecchia guardia”: contabile del gruppo, incaricato della riscossione dei proventi illeciti e alla ripartizione fra gli affiliati. Catanzaro divisa in zone per un controllo capillare sulle attività sulle quali imporre il “pizzo”. Ogni zona un responsabile.

     

     

    LA DIVISIONE DELLE ZONE TRA I CLAN CRIMINALI

    Ai quartieri dell’area Centro-Nord, secondo l’organigramma ricostruito dalla Squadra mobile – provvedevano direttamente Di Bona, Procopio e Lorenzo Iiritano, con la collaborazione di alcuni “fedelissimi” come Maurizio Sabato Maurizio e Marcello Amelio. Di Catanzaro Sud e S. Maria si occupavano Antonio Comito e Vitaliano Cannistrà, mentre Antonio Gualtieri “Cucuzza”, controllava il quartiere Siano. Infine Corvo, Germaneto e Catanzaro Lido erano affidati a Cosimino Abbruzzese “U Tubu” e Domenico Bevilacqua “Toro Seduto”. 
    Il pagamento del “pizzo” era diventato regola nel capoluogo.  Su tutto, vigilava pur se dal carcere Gino Costanzo. Sempre dalle intercettazioni è emerso che la sua convivente, Anna Gigliotti, manteneva i contatti con gli affiliati di maggiore “prestigio”. Ma per le cose più delicate “Compare Gino” si rivolgeva direttamente alla famiglia Arena, i cui capi, se necessario, chiamavano a rapporto gli accoliti catanzaresi per inoltrare e al tempo stesso controllare l’attuazione degli ordini del capo cosca. Gli inquirenti sono riusciti persino a filmare incontri fra i capi della ‘ndrina locale e i vertici del “locale” di Isola Capo Rizzuto, identificando tutti i partecipanti. Le indagini permisero di accertare come nel corso di un incontro avvenuto il 31 marzo 2003, indetto personalmente dal boss Carmine Arena Carmine (poi assassinato a colpi di bazooka) e dai suoi più stretti collaboratori (Giuseppe Arena, Pietro Scerbo, Giovanni Trapasso), erano state manifestate ai catanzaresi (e al contabile della cosca in particolare) le lagnanze di Costanzo in ordine alle modalità di spartizione degli utili di alcune attività illecite.
    Negli ultimi tempi il rapporto con una parte degli zingari s’era guastato. «Una pistola in mano ad uno zingaro è come un bazooka in mano ad un criminale esperto», disse all’epoca  il procuratore Mariano Lombardi. Ed i “gaglianesi” hanno pensato di eliminarli. Ma all’epoca non c’era nulla che facesse ritenere ritenere che l’agguato dell’anno precedente  a “Toro Seduto” fosse da inquadrare in quella  logica.

    11 ANNI DOPO… TRA MORTI E ASSOLUZIONI

     

    Domani i giudici della Cassazione dovranno dunque decidere se mettere definitivamente la parola fine all’operazione Revenge o lasciare ancora qualche coda. Il collegio difensivo composto dai legali  Ludovico, Cantafora, Staiano, Chiodo, Mancuso  Sgromo, De caro discuterà delle posizioni di alcuni indagati. Quelli rimasti dopo la morte per malattia di Anselmo Di Bona e Daniele Marchio,  per omicidio di Domenico Bevilacqua, alias Toro Seduto.

     

    Nel 2015 con la formula “per non aver commesso il fatto” la corte d’Appello di Catanzaro aveva  assolto Girolamo Costanzo, ritenuto il capo storico del clan dei Gaglianesi .

    Erano state confermate le condanne per Cosimino Abbruzzese alias “U’ Tubu” , ritenuto il capo del clan dei rom (a 7 anni) e per Arnaldo Chiodo (6 anni e 10 mesi). Pene ridotte, invece, per Lorenzo Iritano, condannato a 7 anni (in primo grado la pena era stata di 7 anni e 3 mesi), per Maurizio Sabato (2 anni e 10 mesi e 800 euro di multa), per Pietro Procopio (3 anni e mille euro di multa), per Giovanni Passalacqua (5 anni e 20 giorni) e per Fabio Bevilacqua (3 anni e 4 mesi).

     


                                         11 ANNI DOPO …. ANCORA ESTORSIONI E BOTTIGLIE INCENDIARIE

    L’operazione Revenge, la cui ordinanza era composta da più di 2500 pagine ebbe tra le altre cose il merito di aprire un potente squarcio su una situazione per troppo tempo nascosta nel capoluogo, quella delle vittime di estorsioni. Una situazione che però non accenna a diminuire. Undici anni dopo infatti, a geografia criminale mutata, continuano ad esplodere bottiglie incendiarie ed il racket, unito al commercio di droga, continua ad essere attività fiorente per quella sacca di criminalità che è dura a morire.

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