Rimangono i commissari a Lamezia Terme

La terza sezione del Consiglio di Stato conferma la sospensiva, e ribalta il giudizio del Tar del Lazio, in merito al consiglio comunale di Lamezia 

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La terza sezione del Consiglio di Stato conferma la sospensiva, e ribalta il giudizio del Tar del Lazio, in merito al consiglio comunale di Lamezia Terme, facendo rimanere in carica la terna commissariale. Nell’ordinanza odierna si “rimprovera” che «sono stati sottovalutati, dal giudice di primo grado, episodi – emersi in occasione della operazione coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro del maggio 2017 (ovvero Crisalide, nb) – che sono chiari indici sintomatici dell’infiltrazione della criminalità organizzata nelle maglie dell’ordinamento dell’amministrazione del Comune di Lamezia Terme, quali il frequente affidamento delle gare alle stesse società, l’assegnazione di concessioni a soggetti privi di requisiti, la compravendita di voti finalizzata all’elezione alla tornata elettorale del maggio 2015 in favore di De Sarro, poi eletto consigliere comunale e nominato presidente dell’organo consiliare, la posizione di Raso, che ha un ruolo attivo nella vita amministrativa del Comune, il cui fidanzato è interessato dall’operazione di polizia giudiziaria Crisalide».

Per tali ragioni si sospende la sentenza del Tar Lazio «risultando altresì necessario che il Commissariamento prosegua nella sua azione di risanamento, ciò corrispondendo ad un interesse pubblico generale di rango superiore rispetto alla pretesa, in questa sede, di reinsediamento dei disciolti organi per il periodo conclusivo della consiliatura». Entrambe le posizioni però erano state tenute fuori dalle richieste di incandidabilità avanzate dal Ministero dell’Interno, che avevano riguardato solo il sindaco Mascaro ed i consiglieri Pasqualino Ruberto e Paladino.

Secondo il Consiglio di Stato «la contaminazione mafiosa sulle attività di un ente pubblico rappresenta esattamente l’opposto dei principi democratici di rappresentanza elettiva, cui pure il Tar si riferisce, forse non tenendo conto che nel procedimento ex art. 143 Tuel intervengono le massime autorità dello Stato, a dimostrazione che lo strumento in esame è il presidio avanzato proprio per la tutela della libertà di espressione democratica, allorché fondati indizi conducano al “più probabile che non” pericolo di contaminazione della mafia, la quale per sua natura rappresenta la negazione di ogni valore dello Stato di diritto». Se l’udienza di merito sarà fissata con separato decreto del Presidente della Sezione, intanto gli ex amministratori comunali dovranno pagare 5.000 euro per le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

Gi.Ga. 

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