Sergio Abramo o il dilemma di Nanni Moretti

Continuano le assenze del sindaco in Consiglio, Merante ne chiede le dimissioni

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    di Lello Nisticò

    Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro, ha risolto a modo suo l’antico dilemma di Nanni Moretti in “Ecce Bombo”: «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte oppure se non vengo per niente?». Lui, Abramo, salomonicamente va in Consiglio per rispondere alla chiama del segretario e poi va via. Questo succede ormai sistematicamente da qualche seduta in qua, grosso modo da quando sono cominciati i “balletti” elettorali, come li chiama Giovanni Merante. Ora, questo tenere in grande sdegno tutto ciò che si dice in Consiglio ha cominciato a stufare molti. Tutta l’opposizione, e fin qui niente da dire. Ma, a volere azzardare, la contrarietà comincia a serpeggiare anche nelle fila della maggioranza. Il solito Giovanni Merante, consigliere eletto in Forza Italia e poi passato nel misto insieme al collega Triffiletti, ma sicuro come nessuno di fare parte della maggioranza e di ritenere valido il programma a su tempo sottoscritto: «Presidente Polimeni e vice sindaco Cardamone, dite al sindaco che, se al prossimo Consiglio non si presenta in aula e ascolta quello che democraticamente dicono i consiglieri, deve dimettersi. Se non lo fa, sarà mia cura ricordarglielo. I suoi giochini elettorali, pro o contro Occhiuto, vada a farli in casa propria, non qui».

    Fatto sta che dopo cinque minuti il sindaco riappare, scambia qualche parola con il presidente Polimeni, e poi se ne va nuovamente. Stessa sollecitazione era pervenuta prima dai banchi dell’opposizione. Da Gianmichele Bosco e Nicola Fiorita (Cambiavento), da Sergio Costanzo e Fabio Celia (Fare per Catanzaro), finanche da Enzo Ciconte, che, per coerenza con quanto già fatto in Consiglio regionale ha informato l’aula della decisione di lasciare il gruppo del Partito democratico e di transitare nel Misto. Un passaggio scontato, anche per promuovere il nuovo soggetto in fieri, “Calabria delle idee”, forte, dice Ciconte di una cinquantina di amministratori sparsi per la Regione. Subito gli viene chiesto conto, da parte di Celia, con chi si schiererà alle prossime regionali, ben sapendo che da molti viene data per certa l’adesione del cardiologo alla candidatura di Mario Occhiuto. Ciconte rimane nel vago, mentre a tratti riemergono vecchie ruggini che si pensava ormai sepolti sotto la coltre del tempo: le comunali del 2017, i voti mancanti al ballottaggio, la rivalità con Fiorita, il successivo smarrimento della strada maestra alle provinciali. Tutto questo mentre Abramo non c’è. Polimeni ne ricorda la coerenza di pensiero: il sindaco ha fatto sapere che non intende assistere a un Consiglio comunale dove non si parla delle pratiche ma di politica. Aprendo uno squarcio ruvido nelle concezione corrente della democrazia, della libertà di pensiero, del dovere da parte del primo cittadino di ascoltare tutto ciò che viene detto in nome e per conto di altri cittadini. Ma questo, appunto, sconfinerebbe nella politica. Il bello è che, a riavvolgere il nastro, l’argomento principe è stato il punto iscritto al numero 2 dell’ordine del giorno, l’approvazione del Piano del colore e dell’arredo urbano della città di Catanzaro. Questione tecnica, come si comprende. Che non può essere separata da una valutazione più ampia. Diciamo pure: politica.

    Relaziona la pratica l’assessore all’Urbanistica Modestina Migliaccio, mentre tra le poltrone del pubblico assiste il dirigente del settore architetto Lonetti. In mano ha un grosso faldone, rilegato non nastro telato: è il piano colore progettato e firmato da Fabio Rotella. Chi sia Fabio Rotella lo dice nella relazione l’assessore: «Un architetto di fama e spessore internazionale, conosciuto in tutto il mondo, nato a Catanzaro, vanto della città che ci ha fatto l’onore di firmare questo studio». Parola più, parola meno. Qualcuno se vuole, può fare una piccola ricerca mirata su Internet. Sentito il parere della dirigenza di settore, della Sovrintendenza ai beni culturali che dà l’assenso, si delibera anche il compenso. L’assessore in lettura dice 24,5. Lapsus sottrattivo. Intendeva 24mila500 euro. I colori delle facciate cittadine saranno diversificate. Per il centro storico Rotella ha previsto toni dal grigio alla terra. Sul lungomare prevarrà il blu, che richiama il mare e il cielo. Particolare questo che sollecita apprezzamenti romantici da parte della consiliatura femminile, come da intervento di Roberta Gallo (Forza Italia). Dal contributo del solito Bosco, Gianmichele Bosco, che forse avrebbe preferito il verde per assonanza di cognome oppure il rosso per servire meglio il popolo, si deducono però alcune falle che hanno del clamoroso. Fa un raffronto con piani colore di altre città di simile peso demografico, cita Prato, nota una ben diversa consistenza, e fa presente una certa superficialità nella compilazione delle schede a corredo. La scheda numero 41, per esempio, laddove alla destinazione d’uso della chiesa di San Francesco di Paola, quella che affaccia su Bellavista, c’è scritto: “commerciale”. Oppure la scheda sulla chiesa di San Giovanni, alla voce “particolari ornamentali”: nessuno. Orrori, li definisce Bosco. Refusi, ribattono i consiglieri di maggioranza Demetrio Battaglia, Manuela Costanzo, Fabio Talarico. Perché dovremmo approvare un piano colore pieno di refusi? dicono dall’altra parte. Alla fine, come ormai succede, tutto si appiana all’atto del voto, la pratica viene approvata a maggioranza con 17 sì, 9 contrari e 4 astenuti. La seconda pratica rilevante, l’approvazione del regolamento di polizia urbana, innesca polemiche furenti. Non tanto sull’oggetto in sé, in cui pure rientrano argomenti delicati quali il Daspo urbano di gruppo che di recente ha visto protagonisti alcuni ultras catanzaresi e anche gente che di ultras non aveva nulla, quanto su alcune complicate questioni di regole stabilite in conferenza di capigruppo secondo le quali si può, o si potrebbe, buttarla in politica solo in presenza di determinate condizioni quali l’avvio della discussione da parte del sindaco e possibilità di replica contingentata. Il discorso , nell’intervento di Sergio Costanzo, è andato a finire a mare. O meglio a Giovino. C’è una questione che riguarda la famosa perimetrazione dell’area, alcune scadenze di legge da rivedere alla moviola, alcuni interventi di dubbia paternità nell’iter burocratico che saranno probabilmente affrontati alla ripresa, il 12 settembre. Come ormai è risaputo, chi tocca Giovino tocca un nervo scoperto. Scintille in aula, non nella direzione dell’auspicato innalzamento del livello del dibattito, come avrebbe voluto per esempio con sincero slancio la battagliera Roberta Gallo. Ricordando nel proposito il barone di Můnchausen, che si tirò su dalla palude facendo leva sui propri capelli. Ci riuscì, o così andava dicendo, ma questa è un’altra storia.

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