Politeama, con Sergio Rubini Dracula ritorna malvagio foto

Il regista ha riscritto per il teatro l'opera di Stoker. Con lui sul palco anche Luigi Lo Cascio e Lorenzo Lavia

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    Carmen Loiacono

    Il palcoscenico è quel posto magico dove tutto può accadere. Anche che Dracula, quello di Bram Stoker, riviva inalterato, o meglio, immutato nelle atmosfere, cupe, suggestive. Lo sa bene Sergio Rubini che ieri sera è andato in scena al Teatro Politeama con la versione del capolavoro del romanzo gotico riscritta insieme a Carla Cavalluzzi, e che per farlo ha sfruttato tutte le armi in suo possesso. Un gruppo di interpreti più o meno validi, prima di tutto: se per sé il regista pugliese, convincente anche in un personaggio così lontano dalla gran parte dei suoi più noti, ha riservato il ruolo del professore Van Helsing, per Jonathan Harker ha scelto un divertito Luigi Lo Cascio – che con lui aveva già lavorato in “Delitto e castigo” -, per il folle Renfield Lorenzo Lavia – sempre bravo – e poi ancora Roberto Salemi per il dottor Seward, Margherita Laterza per la parte di Mina e Geno Diana per quella del Conte Vlad III di Valacchia. Rubini ha potuto poi contare su tutti quegli effetti speciali semplici ma dal sicuro risultato, che in teatro fanno sempre tanto: con il palco quasi sempre in penombra se non completamente al buio, una manciata di morbide quinte che si abbassavano e si rialzavano velocemente e ripetutamente a mo’ di drappi, aveva un che di veramente inquietante; così come i pochissimi elementi di scena, una serie di pannelli – una sorta di paravento complessivo – che diventavano porte, poi finestre, poi ancora specchi rotti o le pareti del vagone del treno a bordo del quale i “nostri” raggiungevano la Transilvania, e venivano spalancati improvvisamente, rendevano ogni luogo diroccato e, quindi, sinistro; le incursioni degli attori fra le poltrone poi, erano sempre improvvise, e spaventavano al punto giusto lo spettatore.

     

    E ancora gli effetti sonori: Dracula è stato un continuo rullare di tamburi, sordi, pesanti, a scandire l’avanzata del mostro nelle vite quotidiane dei protagonisti, già provati anche solo dall’idea di incontrarlo, realizzati direttamente in scena, con il tecnico al mixer già sul palco, parte integrante della scenografia. Tutte scelte piuttosto azzeccate in cui ogni cosa ha contribuito a creare una certa sospensione temporale, una tensione emotiva in crescendo: se dal punto di vista del testo, molto è stato tagliato – la figura di Lucy, per esempio -, ciò che di Bram Stoker Rubini e Cavalluzzi hanno ripristinato è stata la malvagità dello stesso Dracula, l’invalicabile distinzione fra culture, lontano dal romanticismo attribuitogli dalla celeberrima versione cinematografica di Francis Ford Coppola. Qui Mina non è invaghita del suo carnefice, è semplicemente sotto il suo potere. Anche la componente erotica, che lì era accentuata – proprio attraverso la figura di Lucy -, qui è attutita, sebbene l’imponenza scenica di Diana non fosse da poco: l’attore ha recitato la sua parte interamente in una lingua che pareva romeno, riuscendo a far comprendere in pieno il senso, anche quando le sue frasi non venivano tradotte attraverso espedienti nei dialoghi. 

    Il racconto, dal punto di vista sofferto dei protagonisti, è proseguito per quadri, che rimandavano alla forma epistolare del romanzo, con flashback e racconti che tracciavano un profilo del mostro, ma che, così, davano all’intera struttura una certa fluidità e un ritmo quasi cinematografico capaci di tenere incollata l’attenzione degli spettatori per circa due ore. Il lunghissimo applauso finale è stato quindi quasi uno sfogo naturale, dopo tanta tensione, e un omaggio di sincero affetto nei confronti del cast in scena: tutti sono parsi gradire l’esternazione da parte del pubblico del suo riscontro, soprattutto Lo Cascio, che si è pure lasciato andare a balletti, mentre qualcuno tra i compagni approfittava del momento dei saluti per fare foto e selfie con gli spettatori.

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