Terremoto L’Aquila 10 anni dopo: il ricordo dei Diavoli Rossi Tiriolo foto

I volontari catanzaresi allora sul posto: 'Impossibile dimenticare gli occhi sconvolti della gente'

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    di Gianfranco Giovene

    Sei aprile 2009, ore 3.32: la terra che inizia a tremare in Abruzzo, l’Italia centrale che si squarcia ed inizia a sanguinare, e quel buio, misto a paura, che stringe tutto in una morsa e sembra scaraventarlo all’inferno. Sono passati dieci anni da quel drammatico giorno: L’Aquila è oggi il cantiere aperto più grande d’Europa, in essa non tutte le ferite sembrano ancora essersi rimarginate, ma la vita ha certo vinto i calcinacci e le lacrime del passato, rialzandosi grazie anche al cuore grande dell’intero paese. Da quel disastro sono sbocciate storie di straordinaria umanità che hanno unito senza distinzioni tutto il nord e tutto il sud d’Italia: storie di un volontariato fatto di maniche rimboccate, di fatica e coraggio, ma anche di sorrisi e di pacche sulle spalle. Storie come quella dell’Associazione “Diavoli Rossi” di Tiriolo che proprio dieci anni fa, di questi tempi, viveva a Montereale la sua «esperienza che lascia il segno nell’anima».    

     

    IL RICORDO – Proprio così, ancora oggi, la definisce il suo presidente, Mimmo Guzzo. E il perché è davvero facile immaginarlo. «Impossibile dimenticare gli occhi sconvolti della gente, la loro paura di aver perso tutto – ricorda – Gli anziani che sembravano sradicati e i bambini impauriti per ciò che stava accadendo intorno». A dieci anni di distanza tutto è ancora nitido nella memoria: dall’arrivo «di sera, sotto la pioggia» insieme al convoglio calabrese della Protezione Civile al tanto lavoro da fare per allestire le tendopoli, per creare le via di fuga per gli sfollati, per verificare gli impianti elettrici del campo e dare il via alle operazioni di censimento. Il tutto affrontato «non da eroi o da rambo, ma da semplici cittadini auto organizzati che in queste situazioni mettono le loro competenze a disposizione di chi è in difficoltà». Così, in fondo, fanno da sempre i “Diavoli Rossi”: «donano il cuore nell’operatività mettendo al primo posto la persona». «Eravamo solo una ventina ma per quanto ci muovevamo per alleviare i disagi davamo l’impressione di essere mille formiche iperattive – ricorda ancora Guzzo – E per questo la scintilla con la gente è scattata subito. Ci volevano, ci cercavano – aggiunge – e tutto quel popolo smarrito è diventato subito la nostra famiglia». 

    I LEGAMI  – Una famiglia a cui, dopo la sicurezza, è stato necessario regalare anche una speranza. «Fargli vivere il dramma in maniera diversa era ciò che bisognava fare – sottolinea – e trovare il giusto feeling con bambini ed anziani ci ha dato una mano». Dalla partitella di calcio improvvisata nella tendopoli – «ci hanno massacrato», ricorda ridendo – a quella Pasqua speciale, «con tanto di uova e regali per i più piccoli», vissuta nel campo nonostante il tempo dell’emergenza operativa fosse finito. Dai sorrisi alle pacche sulle spalle, passando magari anche da qualche abbraccio, è andato così cementandosi un legame che continua ancora oggi. Con Matteo, per esempio, che nel 2009 aveva otto anni e a Montereale era arrivato subito dopo la prima scossa con tutta la sua famiglia – «un cappellino, una felpa, ed eccola trovata la mascotte del gruppo» – oppure con il signor Dario e i ragazzi più grandi, arruolati anche loro per dare una mano tra le tende. «In quel campo c’erano tutte le sfaccettature della vita – ricorda Guzzo – dalla mamma con il suo bambino da poco partorito a nonno Francesco che dall’alto dei suoi cento anni era la guida saggia di tutti». 

    DIAVOLI ANGELI – Lasciarli non è stato certo facile: un pezzo di cuore è ovviamente rimasto lì, su quella spianata. E il ricordo dei volontari si fa vivo soprattutto in questi giorni, in occasione del decimo anniversario della tragedia. «Non volevano che partissimo e forse non lo volevamo neanche noi – ammette il presidente – sul campo abbiamo lasciato parte della nostra attrezzatura perché sapevamo che sarebbe servita più a loro che a noi e siamo andati oltre anche a piccole difficoltà logistiche come il furto di un apparato radio mobile». Ma bisognava tornare in Calabria, riprendere anche le proprie vite dopo aver restituito normalità a quelle degli altri. Tornare arricchiti, senza dubbio, nell’anima così come nell’esperienza. «Negli anni la nostra associazione è stata impegnata anche in altre calamità – sottolinea orgoglioso Guzzo – Siamo stati a Norcia quando anche lì è giunto il terremoto e copriamo quotidianamente anche diverse emergenze, soprattutto boschive e ricerca, sul territorio regionale. Cosa c’è rimasto dieci anni dopo dell’esperienza in Abruzzo? Semplicemente la gioia di aver potuto dare una mano». Da angeli, anzi da diavoli buoni.

     

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