La riflessione- Perchè la città non omaggia più la Naca con i drappi?

Nunzio Raimondi richiama un'antica tradizione delle famiglie catanzaresi che oggi non si tramanda più

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    di Nunzio Raimondi*

    Ieri sera, come ogni Venerdì santo,ho partecipato alla nostra processione di Gesù morto,detta da noi “A Naca”,dal greco νάκη, che significa vello di lana, quello che si pone sulla culla per proteggere il bimbo appena nato e, qui da noi, per adagiarvi il corpo esanime di Gesù che,nella culla (metafora della Sua risurrezione),rinasce a nuova vita.

    Ricordo sin da quando ero bambino che questo tradizionale rito popolare, espressione della profonda fede di tutti i catanzaresi,era caratterizzato da un tripudio di lenzuola, coperte, arazzi,drappi e perfino tappeti,sospesi ai balconi dei palazzi lungo le vie della processione. Si tratta di una tradizione che appartiene a molte città del mezzogiorno d’Italia e che si ripete in occasione delle feste patronali, durante la festa del Corpus Domini, soprattutto durante le feste mariane.

    Ieri,mentre insieme a tanti concittadini percorrevo le vie della nostra amata Catanzaro, dietro a Maria,la Mamma nostra Addolorata,ho visto pochissimi drappi alle finestre.

    E per questo ho pensato, quest’oggi,che sarebbe forse utile  ricordare il senso di questa bella tradizione, perché essa non vada definitivamente perduta. Vedete, non è un fatto coreografico,è molto di più.

    È una tradizione che risale all’antica Roma:durante i cortei imperiali, infatti,si ornavano le case con i drappi più preziosi che la famiglia possedeva, ad offrire al corteo il meglio che si possedeva.Con la coperta esposta  si offriva quanto di più sacro la famiglia aveva ricevuto in dono od in eredità, un drappo che costituiva quanto di più caro era al cuore della famiglia.

    Ecco, per noi catanzaresi,le coperte ai balconi – che usavamo mettere in segno di saluto e di devozione sopratutto nei confronti della Madonna – assumono durante la processione de “A Naca” un significato speciale.

    Ogni famiglia offre a Gesù che passa LA PROPRIA NACA, ossia la propria coperta più preziosa, perché il corpo di Gesù morto vi sia adagiato. Non è soltanto un fatto folcloristico o soltanto un segno di onore (come per I romani),ma molto di più. 

    È un modo per partecipare alla passione e morte di Cristo offrendo il vello delle nostre più intime preoccupazioni, delle nostre ansie e delle nostre sofferenze, unendole a quelle che Gesù ha patito per noi.

    La coperta colorata, dunque, che anticamente veniva usata per evocare la festa, qui da noi durante “A Naca” viene esposta in segno di devozione verso piaghe del Signore. Quasi a proteggere Gesù, a cullarlo nell’ora più buia della Sua morte. In ciò sentendosi uniti a Lui con le nostre personali sofferenze, nella certezza che risorgeremo dal peccato e dalla morte ricevendo, in premio, la vita eterna.

    *Avvocato

     

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