Giorgio Bianchi racconta la guerra nelle ‘foto non scattate’ (VIDEO)

Il documentarista, autore Rai e filmmaker, attualmente impegnato nei conflitti di Siria e Donbass, è stato ospite dell’evento organizzato dall’Associazione Acli “Città del Vento”

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    Il fotoreporter Giorgio Bianchi racconta la guerra nelle “foto non scattate” “E’ la profondità del racconto a rendere un lavoro unico”. Il documentarista, autore Rai e filmmaker, attualmente impegnato nei conflitti di Siria e Donbass, è stato ospite dell’evento organizzato dall’Associazione Acli “Città del Vento” “La foto non scattata ti rimane in circolo come una tossina per tutta la vita” ha detto Giorgio Bianchi, fotografo e giornalista di fama internazionale. “Ed è questo il motore che ti spinge a riprovarci – ha spiegato Bianchi – tornando nuovamente nello stesso posto o a provare a raccontarla con linguaggi diversi come il racconto o il filmmaking, che aggiungono un’altra dimensione alla foto che hai nella testa”.

    “Per i fotografi sono più importanti le foto non scattate che quelle scattate – ha detto ancora il fotoreporter – perché quelle non scattate sono quelle che non sei riuscito a catturare e che ti rimangono in testa come un tarlo e te le ricordi perché la retina dell’occhio le ha impresse, ma non sei riuscito a trasmetterle agli altri”. Giorgio Bianchi, intervenuto nel corso dell’incontro organizzato da Cristina Pullano, membro dell’Associazione Acli “Città del Vento”, ha realizzato reportage in Europa, ma anche in Siria, Ucraina, Burkina Faso, Vietnam, Myanmar, Nepal e India, prestando particolare attenzione alle tematiche di carattere politico e antropologico. L’evento rappresenta l’ultimo incontro del corso di fotografia curato da Angelo Maggio e che ha visto la partecipazioni di molti appassionati del settore. Bianchi, parlando con i tanti fotografi, giornalisti e semplici curiosi presenti, ha raccontato che il suo approccio come fotoreporter è cambiato nel tempo. Se dapprima il suo lavoro era legato al mondo delle news e quindi a tempi molto più veloci, in una seconda fase della sua carriera, il suo lavoro è diventato, al contrario, più meditato e più maturo: “Oggi per un fotografo – ha spiegato – è difficile competere con le grandi agenzie che hanno fotografi sul posto, che parlano la lingua e che arrivano molto prima di altri nei luoghi di interesse. Lo spazio per un fotografo documentarista è quello dei tempi lunghi che gli permette anche di tornare più volte in un posto per crearsi i propri contatti, per cercare delle storie e approfondirle nel tempo”.

    “Solo in questo modo – ha aggiunto – la profondità di racconto che riesci a raggiungere diventa la tua unicità”. “Mi muovo in teatri di guerra – ha raccontato Bianchi – ma cerco sempre di lasciarmi la guerra alle spalle evitando rischi inutili. Vado in prima linea solo quando serve, solo quando è strettamente necessario e correlato a quello che sto raccontando perché non voglio provare il brivido, non serve. Mi è capitato di trovarmi in situazioni pericolose e lì l’unica cosa da fare è minimizzare i rischi affidandosi ai militari”. È dopo aver proiettato il suo reportage realizzato nel 2014 a Kiev, durante la rivoluzione ucraina, che Giorgio Bianchi ha parlato della sua esperienza più rischiosa e allo stesso tempo più significativa: “Il campo di guerra a Maidan – ha detto – è stato per me un laboratorio a cielo aperto, una grande opportunità per toccare con mano quanto avevo solo teorizzato. Mi ha permesso di capire determinate dinamiche che avevo intuito leggendo racconti di altri”. Bianchi ha vissuto attimi di terrore durante quei giorni di guerriglia tra i “manifestanti/soldati” e la Polizia, di cui ha fatto un dettagliatissimo ed emozionante racconto: “La storia di Maidan – ha detto – è molto più complessa di quello che si crede. Si è trattato di un colpo di Stato. Alle giuste proteste di piazza iniziali si sono presto sostituite vere e proprie operazioni di guerriglia urbana messe in atto da personale organizzato e ben addestrato che aveva l’obiettivo di rovesciare il governo con la violenza”.

    Daniela Amatruda

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