Parla del silenzio il nuovo libro di Don Domenico Concolino

 il nuovo libro del rettore della Rettoria di Montecorvino a Catanzaro 

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    Si intitola  Il silenzio. Mietitore dei covoni perduti, (Santelli editore, Cosenza 2019, p. 68)  il nuovo libro di Don Domenico Concolino rettore della Rettoria di Montecorvino a Catanzaro 
     
    Scrivere oggi sul silenzio è a prima vista un un paradosso – scrive lo stesso autore in una nota stampa – Chi decide di farlo di fatto lo distrugge. Tuttavia il parlare nel silenzio è invece cosa possibile, anzi necessaria, poiché quel modo di procedere è ciò che qualifica positivamente la profondità del nostro modo di rapportarci con la realtà.
     
    Il silenzio, per dirla con il filosofo Max Picard, è infatti un fenomeno originario, qualcosa di irriducibile, una realtà che emerge nella sua verità solamente quando la si mette in relazione con qualcos’altro. La parola per esempio. Infatti i silenzi di chi ci sta difronte o in cui ci rinchiudiamo davanti a particolari episodi della nostra vita, come vanno interpretati? Come segni di chiusura? Di odio? Di Amore? Sono essi segni di Gioia? Meraviglia? Accoglienza? Rifiuto? Negazione? Angoscia?
     
    Il libro aiuta a capire come ogni silenzio staccato dal suo contesto diventa un enigma a se stesso, e indagare a fondo la sua verità, la sua forza, il suo senso, significa recuperare esattamente l’orizzonte entro cui ogni tipologia di silenzio si rende presente.
     
    Romano Guardini, il geniale teologo di origine italiana, ricorda nei suoi scritti come l’orizzonte vero del silenzio si mostra precisamente in ciò che lo nega: la parola dell’uomo o anche, la parola di Dio. Se è vero che ogni parola parlata emargina per il tempo del suo pronunciamento il silenzio, tuttavia quest’ultimo riappare alla fine come sapore e senso. Curiosamente però, continua Guardini, non esiste un termine specifico nelle nostre lingue occidentali per indicare il simultaneo legame di silenzio e parola. L’interezza di questa dualità non è dicibile in un solo concetto.  Resta il fatto che parola e silenzio sono un tutt’uno non divaricabile. La parola lontana dal silenzio scade nella chiacchiera più bassa e becera, esponendosi al fraintendimento e alla frivolezza, mentre il silenzio che non si nutre più di parola, diventa un’assurdità, cioè, letteralmente, diventa incapace di dare ascolto alla realtà e noi stessi, trasformandosi un’illogico non senso.
     
    Ignazio di Antiochia, un Padre della Chiesa morto a Roma il 107 d.C., vede ad esempio l’alleanza tra silenzio e parola come il centro della comunicazione tra il Padre dei cieli e gli uomini. Ignazio, in un passaggio di una sua famosa lettera, parla di una Parola che procede dal silenzio ed esige lo stesso silenzio per essere compresa: “Una parola pronunciò il Padre e suo Figlio ed essa parla sempre in eterno silenzio e nel silenzio dev’essere accolta dall’anima” (Cf. Lettera agli efesini).
     
    Ignazio, innamorato del Signore, ha in mente quella Parola che ha spezzato l’impenetrabile silenzio di Dio, che ora finalmente ci parla come ad amici. Per questo motivo l’uomo deve imparare a tacere, a nutrirsi di silenzio. Lui insiste nel dire che ogni credente non può fare altro che silenziarsi per essere capaci di accogliere il dire di Dio senza perdere nessun suo frammento. Così il silenzio dell’uomo, il suo tacere davanti alla Parola, si apre a ciò che conta, diventando luogo in cui ogni parola del Signore può toccare la nostra vita. Nella Scrittura sacra si racconta come il profeta Elia, ad esempio, udì la parola che il Signore gli rivolgeva dopo la sua fuga nel deserto, esattamente nello spazio di un silenzio che fu riconosciuto come luogo della presenza del Signore (cf. 1 Re 19)
     
    Così soprattutto nel cristianesimo, Parola e silenzio, non sono mai realtà che si escludono a vicenda, tutt’altro. Essi si nutrono l’uno dell’altra. L’uno diventa grembo dell’altra realtà. La stessa liturgia è un misto di silenzio e di parola. Come la musica e le sue pause, lo scritto ed i suoi spazi, l’immagine e la tela, solamente quella Parola che viene dal silenzio e permane in esso è capace di generare sapienza e sprigionare saggezza, lungimiranza, luce.  Ecco perché riflettere sul silenzio è ancora importante. In un mondo in cui la sua presenza si è ridotta drasticamente, anche la parola parlata, quella scritta su carta e affidata al web, è diventata povera a volte insipiente, ripetitiva, superficiale, necrotica, divisiva.
     
    La pratica del silenzio non è dunque solo una dimensione estetica del linguaggio ma è soprattutto una terapia dell’essere umano, una cura ricostituente. Il silenzio ci cura dentro, li dove ci riveste come una seconda pelle. Solo qui la nostra mente si illumina, discerne ogni cosa permettendo di afferrare l’essenziale, distinguendo la parola vera da quella falsa, quella che passa da quella che ha valore e resiste nel tempo. Nel silenzio – quello prolungato e costante – si affina lo sguardo e si ordina la mente. Per la sua porta si entra nella casa del discernimento e della preghiera, del senso della vita e del nostro cammino nel tempo. Non è un caso che moltissime forme di spiritualità cristiana, e non solo, lo raccomandano soprattutto come pratica ascetica.
     
    Il libro, di dimensioni molto contenute, è pensato come un aiuto ad rientrare nel linguaggio del silenzio, nella sua fenomenologia, nella sua vita, e si propone di essere sostegno e forza non solo della parola umana, ma ancor più, della Parola di Dio, che è data li dove l’uomo tace e smette di agitarsi rinchiuso solo nelle sue parole e nei suoi pensieri.
     
    In questo senso il silenzio spinge a conversione (metanoia), ad andare oltre i nostri pensieri. Ci aiuta a incontrare Dio, a trovare la via di uscita dal nostro modo di pensare ad una sola dimensione. Andre Neher, l’esegeta di origine ebraiche, autore di un bellissimo libro sul silenzio, dal titolo ‘L’esilio della parola’, descrive il silenzio come il ‘mietitore dei covoni dimenticati’, come colui che imitano il mietitore ritorna nel campo di grano appena lavorato e scopre ancora moltissime spighe buone non raccolte qua e la, dimenticate appunto. Questa ulteriore raccolta si compie appunto nella casa del silenzio, ed è questa raccolta che ci permette di riconoscerci davanti al Signore, come bisognosi di Lui di ciò che ha dato ma non l’abbiamo trascurato. Nella casa del silenzio infatti, tutti abbiamo la possibilità di riconoscerci persone limitate, in cammino verso il suo santo Volto.

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