‘Non vergognatevi di me’, libro riflessione sulla malagiustizia

La recensione di Sergio Dragone sul lavoro letterario di Antonio Chieffallo che attraverso l'analisi intima e appassionata di una vicenda personale porta alla luce un triste e attuale realtà


di Sergio Dragone

“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.”  Come il protagonista del “Processo” di Franz Kafka, Leopoldo Chieffallo il 20 dicembre del 1993, a pochi giorni dal Natale, venne arrestato “senza che avesse fatto niente di male”. 

L’atmosfera surreale e allucinante del romanzo del grande scrittore boemo la ritroviamo nel bel libro che Antonio Chieffallo, giornalista e socialista non pentito, a 25 anni di distanza ha dedicato alla vicenda che ha segnato per sempre la sua vita, quella di suo padre e della sua famiglia.

Leopoldo Chieffallo nel 1993 era assessore regionale. Eletto con un consenso larghissimo, dopo una bella esperienza alla guida della Provincia di Catanzaro, era destinato a scenari nazionali. Sarebbe diventato presto deputato o senatore, forse avrebbe ricoperto ruoli di governo. Quella vicenda “kafkiana” interruppe il suo volo perché se è vero che riuscì, dopo l’assoluzione piena,  a tornare in Consiglio regionale e a rifare il sindaco della sua amata San Mango d’Aquino, in realtà nulla – per sua stessa ammissione – fu più come prima.
Il libro – ma forse sarebbe meglio chiamarlo romanzo per la scrittura intima e appassionata – non è solo una riflessione amara e profonda sui casi di malagiustizia in Italia, oggi fortunatamente guardati con maggiore attenzione e sensibilità dall’opinione pubblica, anche grazie a trasmissioni televisive di successo, come “Innocenti”, condotta dal catanzarese Alberto Matano. Libri del genere ne circolano.

“Non vergognatevi di me” è invece e soprattutto uno straordinario racconto d’amore filiale che si presta a più di una riflessione sul rapporto tra un figlio e un padre. E’ un tema complicato di cui già mi sono occupato in passato, sempre in occasione di presentazione di libri: il rapporto tra Pietro Mancini e suo padre Giacomo, quello – ancora più complesso – tra Paolo Guzzanti e il suo genitore. Tutte persone che conosco e ho conosciuto personalmente, con alcune delle quali ho anche condiviso percorsi politici e professionali.  Emblematico il titolo del libro di Guzzanti, mio caporedattore ai tempi del Giornale di Calabria: “Senza più sognare il padre”. Con Paolo ne ho discusso pubblicamente alcuni anni fa alla Terrazza Pellegrini di Cosenza.

Freud sosteneva che il figlio maschio ama il padre e lo ammira, però ingaggia contemporaneamente con lui una competizione.
Il rapporto tra Antonio e Leopoldo, così come emerge dalle pagine del libro-racconto, si inserisce in queste dinamiche della psiche, con punte di tenerezza, di orgoglio, di angoscia e coraggio che suscitano emozione.

Trasuda da tutte le parti, dietro ogni riga, l’ammirazione di Antonio per questo padre così carico di energia, vitalità, entusiasmo e ambizione. Forse affiora anche la competizione, nel momento più critico, quando tocca proprio a lui – con il papà in prigione e schiacciato da eventi così assurdi – prendere in mano la situazione.
E’ il dolore che fa diventare Antonio adulto. Forse non se ne accorge nemmeno, ma è in quel momento drammatico che diventa uomo e si emancipa da quel padre così grande e così inarrivabile.

E’ un bel racconto – che si legge d’un fiato – che parla di rapporti umani, di miserie e di nobiltà, di paure e di atti di coraggio, di lunghe attese e di altrettanto lunghi silenzi. Non c’è spazio per il rancore, che pure sarebbe giustificato. 
Il caminetto della casa di San Mango d’Aquino, con il suo calore intimo, diventa il rifugio dove i Chieffallo, padre e figlio, ritrovano forza ed energia per andare avanti nella loro battaglia contro l’ingiustizia. Che socialisti sarebbero,altrimenti!

L’amicizia vera, quella che si tocca nel momento del dolore, diventa l’antidoto che scaccia via tutte le paure. Soprattutto quella di rimanere soli. Come quando Antonio organizza, assieme ai “compagni” di San Mango, una manifestazione di solidarietà e teme che nessuno voglia metterci la faccia. E invece arrivano a centinaia, perché credono nell’innocenza di Leopoldo che verrà successivamente riconosciuta anche dalla magistratura. 

Leopoldo, lo “zio” per antonomasia della politica calabrese, può essere ben fiero di questo figlio che ha sfidato a testa alta i pregiudizi della gente per essere accanto a suo padre. Credendo in lui ciecamente. E questo vale più di mille elezioni al Parlamento.

PS: Io e Leopoldo Chieffallo abbiamo condiviso una vita nel PSI, sempre e rigorosamente su sponde opposte: io manciniano, lui autonomista craxiano. Qualche volta, nelle infiammate riunioni notturne, non gli risparmiavo critiche al fulmicotone. Lui, alla fine, mi avvicinava e mi abbracciava, senza fare trasparire il minimo rancore.
“Nipote mio, io ti voglio bene comunque, meglio un avversario intelligente che un alleato stupido”. Bei tempi andati.