STORIE DI CITTA’ Commercio, ‘vindituri’ e mercati nel libro di Bressi foto

Dai 'lattari' ai barbieri col mandolino a Nerone che lustrava le scarpe. Aneddoti personaggi e frammenti di passato in ‘Venditori ambulanti sui tre colli. Fiere, mercati, voci e personaggi di Catanzaro’ di Silvestro Bressi  


Di Laura Cimino

Voci. Voci che svegliavano di mattina, quella del ‘lattaru’, che quando ancora era buio, bussava alle porte per consegnare il latte in contenitori di zinco. Il venditore di pesci in tarda mattinata, ogni ambulante aveva la sua ora. Personaggi. Il lustrascarpe Nerone, l’ultimo dei ‘pulimma’, ovvero quelli che avevano le loro postazioni sul Corso e si guadagnavano la giornata lustrando le scarpe. Poi c’era ‘l’ovara’, che passava dalle case e barattava ricottine dette calamareddhi con le uova che poi rivendeva in città. Ancora, ‘’a capèra’, che andava nelle case delle donne anziane per pettinarle. Con capera, oltre che pettinatrice a domicilio, si indicava anche una persona pettegola.

Tutte voci e immagini raccontate in ‘Venditori ambulanti sui tre colli. Fiere, mercati, voci e personaggi di Catanzaro’ raccolte nel libro fresco di stampa di Silvestro Bressi con prefazione di Vito Teti edito da Ursini. Che sembra raccontare tempi molto lontani ma che non lo sono troppo. Perché? Perché, come dice l’autore Silvestro Bressi i tanti ambulanti e ‘vindituri’ catanzaresi ‘con il loro linguaggio ironico e autoironico, a doppio senso, allusivo, colorato, ci facevano ridere e accompagnavano i nostri giochi, ed è difficile fare capire ai giovani di adesso che tutto accadeva anche solo cinquant’anni fa’. Voci curiose, ritmate come canzoni, ritornelli che non possono essere dimenticati.

Il carbonaio, il venditore di roba bella, ‘indumenti, panni, biancheria’, l’arrotino ‘affila forbici’, le urla, i gesti, il gergo degli ambulanti e più in generale il racconto dei vindituri, un ceto sociale e culturale che a inizi del Novecento aveva un ruolo dinamico e attivo nella vita economica di Catanzaro.

‘’Mparati accattatura e vinditura’, si consigliava ai giovani che volevano iniziare a svolgere un mestiere o un’attività. Ed ecco allora i barbieri catanzaresi, che nei saloni insegnavano chitarra e mandolino, le putiche del morzello, i banditori, i viandanti che si recavano in qualche studio di medico o avvocato. Poi gli anni ’60, e la borghesia che si consolidava non impediva che i ceti popolari tenessero ben vive le loro tradizioni.

Silvestro Bressi nel suo libro a tutto ciò vuole dare la giusta dignità di storia e di identità. C’erano i mercati, tra il chiassoso e allegro ‘cicaliara’ misto a odori di formaggi, pesci, dolci e frutta. La città fa vedere scorci molto cambiati.

Pensiamo a ‘a chiazza’, l’attuale piazza Grimaldi nel centro storico, la sua viviacità commerciale secolare, già dal ‘700 come raccontava la studiosa Emilia Zinzi. ‘Amalfitani, mercanti, Sicli tintori, Ebrei cui la città deve tanto impulso alla sua vitalità…una città minore del Sud ricca e vigorosa, tra commercio e produttività artigianale’.

E c’erano, come racconta Oreste Sergi in ‘Frammenti di ricordi: Catanzaro prima del 1860’ i bancarozzoli. Cos’erano? ‘Piccoli negozi, racchiusi in piccoli armadi, poggiati su due cavalletti di legno e messi negli spazi di muro, sul Corso, tra una bottega e l’altra. Vi si vendevano nastri di seta nostrana, cotoni, aghi, spille, ferri di calze’, col proprietario seduto accanto alla merce che la sera chiudeva il microscopico negozio e lo trasportava nella bottega attigua’.

L’ultimo bancarozzolo, fino agli anni ’60, a piazza Roma di fronte al portone della chiesa di San Rocco vendeva caramelle liquirizie e dolci per ragazzi. Nel libro ci sono le fiere, i mercati, le grida. Il mercato cittadino inaugurato nel 1929 dove oggi sorge il teatro Politeama, vivace luogo di incontro di tutte le classi sociali. Prima ancora, e per molto tempo, le voci di fruttivendoli e pescivendoli a li Coculi, storico mercato della città. Il libro di Bressi registra tutto.

Dalle tradizioni più antiche del commercio della seta a immagini e grida di oggi. Perchè si può dimenticare un volto, non riconoscerlo, ma il ricordarne la voce rievoca immediatamente emotività. Da Onofrio Giglio, venditore ambulante di biglietti delle lotterie nazionali, al venditore di candeggina, ai giornalari e strilloni di Sala, a qualcosa che torna alla memoria anche dei ragazzi. L’altoparlante di Salvatore: ‘E portu i patati e voliti i cipuddhi. E portu i cipuddhi e vuliti i patati’. Le patate e le cipolle di Salvatore Costantino furono ricordate anche nel suo necrologio.

Come scrive Vito Teti nella prefazione al libro, ‘Bressi resta fedele a quell’invito di Corrado Alvaro a non rimpiangere il passato ma a custodire memorie. Si può scorgere qualcosa di più: il desiderio di recuperare scarti, frammenti, schegge di un passato che attende considerazione e riscatto (…) e che forse sollecita a creare nuove forme di socialità, convivialità, comunità’.

(NELLE FOTO A SEGUIRE: Il mercato cittadino, dove oggi sorge il teatro Politeama. Un venditore ambulante di peperoncini. Il lustrascarpe Nerone. Il necrologio del venditore ambulante Salvatore Costantino)