Cgil Area Vasta: ‘Serve costruire insieme il nuovo modello di sanità del “dopo emergenza corona virus”

'Ancora non si riesce a capire che possano e debbano esserci dei punti per l'emergenza, altri per la lungodegenza. E molti altri problemi ancora'

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    Riceviamo e pubblichiamo a seguire l’intervento sulla sanità di Cgil Area vasta

    Il Covid19 ci ha cambiato, lo ha già fatto nel nostro modo di lavorare, di muoverci e di vivere, e
    rivoluzionerà il nostro futuro in modo permanente.
    Eppure quello che non è ovviamente ancora cambiato è la percezione della sanità nel territorio, si
    tende a richiedere molteplici strutture vicine al luogo di residenza, a guardare agli ospedali come
    centri di cura globali, dove trovare risposte e cure per ogni patologia, da quelle acute a quelle
    croniche, da quelle da trauma a quelle tumorali.
    In altre parole non si riesce ad immaginare che possano e debbano esserci dei punti per l’emergenza,
    altri per la lungodegenza, altri invece specialistici ed altri di ricerca e perfezionamento.
    E l’emergenza Covid19 in Calabria sta facendo emergere ed esplodere inefficienze e contraddizioni,
    nonché scelte politiche in merito al management in sanità in larga parte caratterizzate da palese
    inadeguatezza, in quanto avvenute per lo più ad intuitu personae, utilizzando strumentalmente i
    poteri speciali derivanti dalla lunga fase commissariale.
    Ma la colpa non è certo dei cittadini che legittimamente pretendono di avere diagnosi e cure degne
    di tale nome, è bensì frutto di decenni di mancata programmazione, di malaffare, di infiltrazioni
    mafiose e di tagli devastanti che hanno interessato strutture e personale.
    Manca un serio confronto istituzionale ed i partiti, sulla scia di una crisi che appare quasi irreversibile,
    appaiono sospesi taluni delusi, altri appagati da risultati elettorali, ma comunque lontani dalla gente
    e dal mondo del lavoro. Molti esercitano, in assenza di ruoli, il diritto di tribuna e si assiste ad
    interventi che spesso alimentano campanilismi o rivendicazioni anacronistiche.
    Si chiede a gran voce riapertura di strutture o di reparti, che eccellenti o perlomeno efficienti non lo
    furono stati mai, gli stessi ospedali o reparti di cui proprio gli stessi esponenti politici, magari
    transitati in altri schieramenti, hanno determinato a suo tempo la chiusura o la soppressione, con
    azioni omissive o con scelte diverse da quelle dell’interesse pubblico, quasi a voler mutuare la prassi
    salviniana che tanti danni ha causato a questo Paese ed al sud in particolare.
    Serve costruire insieme il nuovo modello di sanità del “dopo emergenza corona virus”, che dovrà
    basarsi su un modello efficiente e che assicuri adeguata copertura territoriale e basato su
    prevenzione, controlli, programmazione, specializzazione.
    Il corona virus non ha avuto finora in Calabria la virulenza di altre regioni, ma i dati calabresi sono
    evidentemente sottostimati, in quanto da giorni ormai il numero di tamponi effettuati è esiziale,
    essendo da tempo terminate le scorte da tempo e gli approvvigionamenti lenti ed insufficienti anche
    solo per gli stessi operatori sanitari, pur in presenza di apposita ordinanza regionale.
    I dati comunicati dalla Protezione Civile parlano di una drastica riduzione dei contagi, ma al
    contempo di una medesima riduzione dei tamponi effettuati: in sostanza niente tamponi e quindi
    niente contagi, una sorta di politica dello struzzo assolutamente deprecabile.
    La Regione si faccia sentire, l’invio dei tamponi da Roma deve avvenire sulla base del personale
    sanitario in dotazione, per quelli loro dedicati, e su base demografica per quelli destinati ai cittadini,
    e non sulla base dei casi di contagio accertati come avvenuto finora.
    Ma quando si sono registrati picchi di contagio come quello verificatosi nella Casa di Cura Domus
    Aurea di Chiaravalle, il sistema messo in campo dalla Regione è andato subito in tilt, accumulando
    un sol colpo ritardi, disfunzioni e disorganizzazione.
    Secondo le linee guida ed i relativi protocolli i pazienti positivi al COVID19 devono essere ricoverati
    in Ospedali che svolgono funzioni di HUB, nello specifico per la provincia di Catanzaro il Pugliese ed
    il Policlinico Mater Domini, eppure proprio dalla Regione erano stati inspiegabilmente indicati gli
    ospedali di Lamezia e di Soverato, ingenerando prese di posizione e distinguo da parte delle
    amministrazioni locali e rivendicazioni da parte dei familiari dei pazienti di cure e strutture adeguate
    ed allo scopo deputate.
    Sarebbe stato bello e forse pure normale se anche l’ospedale di una città come Lamezia fosse stato
    nelle condizioni di ”agibilità” per rendersi parte attiva in questa delicata fase, e non ci sarebbero
    state motivazioni, oggi però drammaticamente valide, affinchè non si realizzasse quella azione di
    sinergie istituzionali tra enti locali, perchè vanno evitate le chiusure degli ospedali ma vanno
    stigmatizzate anche atteggiamenti di chiusura delle amministrazioni locali di fronte ad emergenze
    che dovranno vederci tutti insieme e coesi nel fare squadra, per realizzare quel sistema efficiente e
    solidaristico al quale tutti auspichiamo.
    Gli ospedali di Lamezia e Soverato dovranno essere oggetto di una attenta valutazione, perchè la
    platea di cittadini che vi si rivolgono è vasta e riguarda un numero consistente di comuni, vanno
    indubbiamente potenziati, invertendo la tendenza assolutamente non condivisibile di
    ridimensionamento che li ha finora riguardati, ed occorre altresì adeguare la dotazione organica del
    personale.
    Sapendo che in questa fase tutti siamo consapevoli che per i pazienti contagiati non servono semplici
    posti letto, magari riesumando strutture o reparti chiusi da tempo e quindi ormai privi di attrezzature
    e personale, ma HUB con unità dedicate dove possano ricevere cure adeguate in sicurezza per se
    stessi e gli operatori sanitari, scongiurando magari il rischio che proprio gli ospedali diventino focolai
    di contagio. Vista la sua debolezza strutturale, il sistema sanitario calabrese non reggerebbe il
    ripetersi di un caso analogo all’ospedale di Codogno.

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