Rsa, Cgil: Adesso nuovi modelli di cura e assistenza

Questo nuovo sistema va sotto il nome di budget di salute (BDS)

L’emergenza coronavirus ha fatto scoprire alla maggioranza dei cittadini il bubbone RSA, non solo in Calabria. Stanno emergendo carenze organizzative e strutturali, di gran lunga precedenti all’epidemia, che ben conosciamo (e abbiamo denunciato), su cui la magistratura ora ha deciso di indagare. Sono fatte di dotazioni inadeguate del personale, dell’utilizzo disinvolto di questi operatori senza distinzione di ruoli o con assegnazione a reparti diversi, quando non si giunge a spostarli in strutture diverse, appartenenti alla stessa società. Soprattutto colpisce il rapporto ricattatorio verso i dipendenti, molto diffuso a ogni latitudine: in Lombardia si è giunti a dare disposizioni contrarie alle leggi e al buon senso, con la minaccia del licenziamento (reso più facile dai continui attacchi all’art. 18). Il virus ora fa crollare questi castelli di carta, come è accaduto al Pio Albergo Trivulzio, che ha 620 posti letto, con una rete di residenze ad esso collegate che supera i 1.600 e con un fatturato annuo di circa 50 miliardi di euro.

Ma è il principio stesso che non va: autorizzare mega strutture, che arrivano a ospitare centinaia di persone, significa creare dei ghetti, dove si vive lontani dalla vita civile. A volte si tratta di residenze di lusso, poste in luoghi ameni; a volte si riesce a sperimentare forme di riabilitazione e di stimolazione cognitiva interessanti ed eccellenti, anche in Calabria. Ma sono pur sempre luoghi di esclusione, dove spesso si rinchiudono le “vite di scarto”.

Nell’emergenza però si sono scoperti anche modelli diversi, sperimentati in varie Regioni fin dai primi anni 2000, che rispondono meglio ai bisogni delle persone anziane, disabili e, soprattutto, con disagio mentale. Modelli che hanno risposto pure molto bene all’impatto dell’epidemia, senza esiti drammatici. Si tratta di piccole comunità, con 8 ospiti o poco più, gestite da cooperative sociali e inserite in contesti urbani, dove si vive come in famiglia, con relazioni sociali all’interno e all’esterno della struttura, anche con esperienze di formazione lavoro. Le persone sono seguite dai loro medici di fiducia e dagli specialisti dei servizi pubblici, che disegnano un progetto terapeutico individuale (PTI), lavorando insieme e con la collaborazione della equipe che gestisce la struttura.

Questo nuovo sistema va sotto il nome di budget di salute (BDS) e viene finanziato dal servizio pubblico, con costi che variano dai 40 agli 80 euro, a seconda dell’intensità dell’assistenza. Si pensi che la media delle rette regionali per le RSA vanno da 82 (in Basilicata) a 167 euro (in Val d’Aosta), in Calabria sono intorno a 140-150 euro, e gravano per metà sul fondo sanitario e per metà sul fondo sociale, anche se spesso con notevoli ritardi nei pagamenti da parte di ASP e Comuni. I programmi sostenuti dal BDS sono garantiti da leggi o delibere dei Consigli regionali, emesse sulla base di un Atto d’indirizzo e coordinamento governativo (DPCM 14-02-2001) che autorizza l’elaborazione di PTI. Pionieri della realizzazione di questo modello terapeutico sono stati gli psichiatri di Aversa, di scuola basagliana, che lo hanno avviato con semplici determine del Dipartimento di salute mentale e poi consolidato con una legge regionale, in pieno Piano di rientro (nel 2012). Un modello che offre efficacia terapeutica di grande evidenza, con progressi di salute e benessere individuale e con successi di reinserimento sociale, ma anche vantaggi economici per il tessuto produttivo locale, dovuti alle attività sviluppate da queste cooperative, che spesso gestiscono beni confiscati alle mafie.

Abbiamo avviato un percorso nella FP CGIL regionale, e con la CGIL nazionale, per conoscere meglio queste realtà e giungere a progettare una bozza di legge regionale per la  Calabria, con la collaborazione dei nostri legali. Conosciamo la situazione delle nostre RSA, introdotte negli anni ’90, soprattutto di quelle psichiatriche, che non hanno mai prodotto guarigioni, ma solo continue proroghe dei programmi riabilitativi e infiniti rientri con il sistema delle “porte girevoli”. Eppure sono state osteggiate dalle lobby regionali private e farmaceutiche, al punto che quelle residenze hanno continuato per lungo tempo a fregiarsi del titolo di “case di cura neuro-psichiatriche”, attingendo per intero alla quota di fondo ospedaliero anziché  a quella territoriale. Nonostante questi limiti, anche nella nostra regione sono fiorite comunità di questo tipo, su base volontaria e con il sostegno di fondazioni locali, senza fondi pubblici e spesso senza collegamenti istituzionali: a Serra d’Aiello, ai tempi della liquidazione del Papa Giovanni, a Lamezia, a Cosenza e di recente a Settingiano, ad opera di Progetto Sud. In questi giorni apprendiamo che il sottosegretario Pierpaolo Sileri, parlando delle prime esperienze nel casertano, ha annunciato di volere promuovere la legge depositata lo scorso anno alla Camera sui budget di salute. Siamo fiduciosi che il provvedimento riceverà la dovuta attenzione dalle istituzioni e faremo la nostra parte perché ci trovi preparati anche in Calabria. Abbiamo visto che si può fare, anche in condizioni di ristrettezze finanziarie regionali, anzi producendo risparmi di gestione, oltre che soddisfazione dell’utenza. Dunque, ci chiediamo “se non ora quando?”

FP-CGIL Calabria
Il Segretario Generale Alessandra Baldari
Il Segretario Regionale Franca Sciolino