A Catanzaro piste ciclabili e luoghi per fare sport, ma “si dimenticano i più deboli”

Ecco la denuncia lanciata dalla madre di un ragazzo affetto da disturbi dello spettro dell’autismo.

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Si pensa continuamente a come migliorare la qualità della vita e il benessere delle famiglie, degli anziani, de giovani e dei bambini, ma troppo spesso si dimentica di porre in essere azioni per le fasce più deboli e preziose della popolazione, per le quali avere cura dovrebbe essere priorità. E a lanciare un accorato appello a tutte le istituzioni calabresi, questa volta è la signora Rosa Montanaro, mamma di un giovane ragazzo di 22 anni con disturbi dello spettro dell’autismo: “In questi giorni i nostri politici sono impegnati a proporre alla città soluzioni come piste ciclabili e aree dedicate allo sport, continuando a dimenticare le persone che si trovano ad affrontare una disabilità – ha affermato – nel fare nuove scelte a vantaggio dei cittadini bisognerebbe prendere in considerazione anche i nostri ragazzi che hanno bisogno di avere luoghi in città in cui sentirsi bene. Creare spazi all’aperto in cui un bambino o un giovane autistico possano trovare un luogo d’interazione potrebbe essere un’azione positiva per tante faglie catanzaresi e invece no, si pensa sempre ad altro.”

Mamma Rosa, sa che vivere vicino ad un giovane con un disturbo dello spettro dell’autismo richiede pazienza, impegno, costanza e tanto amore, un amore che viene ricambiato dallo sguardo del suo ragazzo che sa di essere amato e che ha solo bisogno di una città che possa aprirsi anche a lui: “Ci sono luoghi come ad esempio il Parco della Biodiversità o Villa Margherita in cui si potrebbero creare spazi per i nostri ragazzi che come tutti gli altri cittadini hanno diritto e bisogno di vivere la città – ha proseguito – in questi ultimi giorni i politici calabresi hanno dimostrato che in poco tempo si possono prendere provvedimenti, perché non si pensa di agire subito anche per il bene dei nostri ragazzi?” E ripensando ai giorni del lockdown ha concluso: “Durante la quarantena nessuno si è preoccupato di bussare alla mia porta per sapere se avevamo bisogno di qualcosa, per sapere se mio figlio stava bene. Non è giusto! Mi rendo conto che non si possono immaginare le difficoltà che famiglie come la mia vivono quotidianamente, ma è il momento di far sentire la nostra voce per costruire un futuro migliore per i nostri figli.” E allora se dall’emergenza coronavirus ne siamo usciti diversi, forse più umani è il momento di farlo vedere a tutti i livelli, proponendo e concretizzando azioni virtuose a favore degli anelli più deboli della società. Solo così potremmo dire di aver imparato una lezione dal dramma collettivo che abbiamo vissuto e dal quale ancora si fa fatica ad uscire.

(Foto dal web)

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