LA STORIA – Un rapporto non protetto, la paura dell’Hiv e un medico straordinario

La testimonianza, esclusiva, di un catanzarese di 29 anni  LE ULTIME STATISTICHE DIECI COSE DA SAPERE

Più informazioni su


La voglio raccontare la mia storia. La voglio urlare al mondo la disperazione che non mi ha fatto dormire la notte, che mi ha tolto il sorriso, che mi ha logorato e lentamente sottratto ogni istante della mia esistenza”. S. ha 29 anni, una vita tranquilla tra lavoro e famiglia. A fine agosto, dopo una festa tra amici, quelle in cui si beve un po’ di più, il fatto: un rapporto sessuale non protetto con una donna sconosciuta. “Non sono uno di quelli che cerca storie di sesso e non mi era mai capitata una cosa simile. Sì, ero brillo, e anche questo non mi succede con frequenza. Stavo rientrando nel mio albergo romano dove trascorrevo qualche giorno di ferie, quando lei si è avvicinata. Mi ha chiesto se avevo voglia, ho detto di sì. Ed è successo. Senza protezione”.  Una passione travolgente, fino a quando S. non realizza. “Fermiamoci, senza profilattico non si può”. Lei lo assicura: “Non sono ammalata”. E si va avanti. Il risveglio sembra quasi normale. Poi, però… “Ho preso il mio portatile e ho cominciato a cercare su google le modalità di trasmissione dell’Aids. Ingenuo, come se anni di campagne di prevenzione non le avessi mai ascoltate. Tutto confermato: contagio possibile”. Da quel momento S. va nel pallone. Comincia con il calcolo delle probabilità. “Dallo 0,02% allo 0,05% per un rapporto insertivo… dovrei essere proprio sfortunato, mi dicevo. Ma quel pensiero era ormai fisso. Non c’era un attimo che non mi sfiorava. E già leggevo le aspettative di vita dei malati di Aids, le terapie. La ricerca di una speranza… E più leggevo più mi maledicevo: com’era possibile che fosse capitato proprio a me?”.

S. trascorre un giorno nel più totale sconforto, pensando anche a tutte le altre malattie sessualmente trasmissibili. Poi scopre che è possibile cominciare, entro le 72 ore successive al rapporto sospetto, una terapia. “Su Internet se ne parla come di qualcosa che nell’80% dei casi evita il propagarsi dell’hiv. Ma le controindicazioni sono tantissime e non è facile che un medico te la dia. Torno a Catanzaro. Sono trascorse circa 40 ore. Telefono al numero verde del Ministero della Salute. Mi consigliano di rivolgermi al centro di riferimento dell’Ospedale Pugliese. Ci vado. Conosco un medico, Paolo Scerbo, che solo dopo scoprirò essere straordinario. Capisce il mio terrore. Mi tranquillizza. Mi spiega che le possibilità di contagio sono poche. Mi illustra quali esami dovrò prenotare. La cosa che più mi deprime? Che il primo test lo potrò fare solo tra un mese. Che quello più veritiero si dovrà fare tra tre mesi. Che quello conclusivo addirittura dopo sei. E come vivo – mi chiedo – in questo periodo? Intanto decido di fare la terapia. Cinque medicine al giorno, per 28 giorni. Leggo il bugiardino e cado in paranoia. E poi mi sento addosso tutte le controindicazioni di questi farmaci e le indicazioni del possibile contagio: la faringite, le afta in bocca… manca soltanto la febbre. Devo fare anche il vaccino per l’epatite: un disastro, una vita sconvolta”. La cosa più dura, per S., è non potersi confidare, e non poter raccontare cosa sta passando.

L’unica opportunità è internet e quello straordinario sito della Lila in cui il forum mi dà conforto. Mi confronto, racconto il mio stato d’animo: lì tutti mi danno fiducia e speranza. Conosco gente che da anni convive con l’hiv: che forza d’animo e di volontà! Ma ho il terrore. I giorni trascorrono lenti e lentamente il calendario si riempie di x, un po’ come quando eri militare e non vedevi l’ora che quell’anno lontano dagli affetti passasse. La frequentazione dell’ambulatorio di Malattie infettive del Pugliese (dove trovo davvero una grande professionalità) diventa sempre più costante. Il dottore Scerbo mi dà coraggio ed è sempre, dico sempre, disponibile. Anche quando le paranoie infinite mi assalgono e vedo linfonodi spuntare dappertutto. Lo chiamo in reparto, mi presento anche senza appuntamento: ha sempre una parola di conforto”.

E’ fine settembre, il giorno del primo test. Ovunque si legge che il suo esito è rilevante: non certo al 100% ma essere negativi significa avere ottime probabilità di non aver contratto il virus. “Immaginate il mio stato d’animo. Immaginate i giorni successivi: per avere i risultati ne occorrono quattro/cinque. Alterno momenti di lucidità allo sconforto più totale. E’ lunedì sera, esco a fare una passeggiata, mangio con gli amici fuori e mi accorgo di aver lasciato il telefonino a casa. Quando torno, trovo una chiamata persa. Il numero è quello del reparto. E’ quasi mezzanotte, ma non mi preoccupo dell’ora tarda. Richiamo con il cuore in gola e chiedo del dottore Scerbo. E lui: “Scusi se le ho telefonato ma siccome l’ho vista molto in ansia le volevo comunicare che il risultato del test è negativo”.  Non piango facilmente, ma una lacrima mi bagna il viso e balbetto solo un grazie. Un grazie convinto per quella umanità che dovrebbe essere naturale in un medico e che però difficilmente ho riscontrato come in questo caso. Ora sto meglio, anche se lo so che non è finita, che per essere certo dovrò attendere ancora molto (almeno marzo).

Perché ho voluto raccontare a Catanzaroinforma questa storia molto personale? Per dire a tutti: non fate cazzate. Non trasformate un’esperienza di piacere in quello che può diventare un dramma. E’ vero, le cure per chi è affetto da Hiv sono migliorate e si garantisce una vita quasi normale. Però ho letto tante testimonianze di chi soffre, di chi si pone diverse domande per un futuro che resta incerto. Rischiare non serve a nulla: una piccola precauzione, il profilattico, quello sì che serve e ti fa dormire sonni tranquilli”.    

Più informazioni su