Paola Caruso? La mamma è Catanzaro, il padre è il Catanzaro

La storia della show girl fa riflettere su una città e l'amore per la sua squadra, radici e vita degli anni '80

Più informazioni su


di Gianluigi Mardente 

Questa bella ed emozionante storia di una madre che ritrova la figlia grazie alla tv e i suoi programmi trash in prima serata, dobbiamo ammetterlo, non sarà stata una di quelle scene che passeranno ai posteri come un momento di cultura e spettacolo del nostro Paese, ma è anche vero che qualcosa nel cuore e nell’anima di molti italiani e di molti catanzaresi l’ha smossa. Insomma, un sentimento, più o meno dolce, piuttosto che di sdegno o di incredulità generale, si è sentito. A molte mamme è scesa la lacrimuccia e a molte figlie ha fatto tenerezza quella donna di 34 anni che (forse) abbraccia la sua madre biologica e al tatto e al profumo la sente “mamma”. Nessun giudizio, per carità. Saremo felici se loro saranno felici, rispettiamo i sentimenti e la vita di tutti, nessuno escluso. La signora Imma e le sue figlie, compreso la presunta Paola, hanno diritto alla felicità e nessuno può giudicare il loro percorso di vita. Già, la vita. La vita e Catanzaro, la vita a Catanzaro, la vita con il Catanzaro. Oggi noi è di questo che vogliamo parlare, perchè il resto ci sembra francamente una storia bella e reale che la tv e i suoi autori fanno diventare un film. Ma i film si vedono al cinema, almeno quelli belli , quelli da oscar. Andiamo indietro nel tempo per un attimo e soffermiamoci con lucidità su quella che era Catanzaro negli anni 80 e come la città viveva la squadra e faceva sentire eroi i suoi giocatori.

 

IL SOGNO DEL COMUNALE: In molti non lo possiamo ricordare, moltissimi nemmeno lo sanno, alcuni ancora lo raccontano. Oggi, grazie a questa storia, ne prendiamo un po’ consapevolezza. A Catanzaro contava il Catanzaro, era qualcosa che stava sulla pelle. I giocatori, chiunque essi fossero e da qualunque parte d’Italia arrivassero, diventavano figli di questa terra. E’ affascinante comprendere che la vita sociale dei catanzaresi era molto collegata a quella della squadra: viaggiava in parallelo. Si ha la sensazione che la domenica fosse un giorno sacro e, seppur in serie C1, i vari Musella, Soda, Lorenzo, Mauro, Cascione e Imbrogia erano degli idoli. I tempi sono talmente cambiati che oggi vedere Maita e compagni su Corso Mazzini, essere amici veri e fidanzatini delle nostre liceali è improbabile. Invece 40 anni fa era tutto completamente diverso. La signora Imma ha tirato fuori una storia che evidentemente ha radici più profonde, talmente profonde da far partorire nuove vite grazie all’amore che nasceva (guarda un po’) anche grazie all’amore per i giallorossi. Insomma, scopriamo, risentiamo, veniamo a sapere che il Catanzaro era la messa della domenica e i suoi giocatori erano figli della città. Una gelateria come covo d’amore e una tifoseria che abbracciava i suoi idoli la domenica ma che dal lunedì al sabato erano compagni di uscita, di vita, di esperienze. Era una Catanzaro diversa, molto più provinciale ma evidentemente più vincente.

 

CATANZARO E IL CATANZARO: Questa vicenda ha fatto riemergere tanti fatti, tante amicizie, tanti pettegolezzi e soprattutto tante storie. Non solo d’amore. Inutile nasconderci: in città si cerca di conoscere il nome del padre per puro gossip da social/tv. Ma ascoltate, nella ricerca, le parole della gente di quel tempo. Bene, ne esce fuori che i giocatori erano amici ed erano di Catanzaro, catanzaresi di adozione. Ne esce una Catanzaro dipinta di più colori , mischiati come ci fosse un arcobaleno sul ponte con i bordi a tinte giallorossi. A Catanzaro si usciva e si stava insieme e nei vicoli di un centro storico vissuto- nel vero senso della parola – la città prendeva le sembianze di un paese e viceversa. Tutti sapevano di tutto e noi, che quegli anni non li abbiamo vissuti, sentiamo la percezione che Catanzaro era una grande famiglia che cullava il sogno della sua squadra in fondo al cuore come senso di rivalsa sociale e di riscatto economico. Per farlo non c’era assoluta necessità di avere il distacco tra i giocatori e la gente , anzi i primi stavano in mezzo ai secondi che, quando scendevano in campo, si portavano dietro la carica e le emozioni di una comunità intera. In questo contento è davvero normale che la signora anziana facesse il morzello per il giocatore del nord, l’amico invitasse a cena Pedrazzini o Benetti , la bella ragazza si innamorasse perdutamente del bomber Lorenzo o delle giocate di Iacobelli. Il mister, all’epoca Giovan Battista Fabbri, era la guida di tutti quelli che avevano il sogno di diventare giocatori e per far rendere al meglio i suoi, non poteva non ascoltare il chiacchiericcio da bar che ogni giorno lo vedeva protagonista. In questa realtà il presidente Albano somigliava al Farone che doveva esser bravo a costruire piramidi con al vertice la bandierina della serie A da ritornare a strappare ed ogni suo errore era visto come un peccato dai “sudditi” che da lui si aspettavano troppo, forse tutto. Quindi, morale della favola, saranno fatti della signora Imma, del padre biologico e della show girl Paola su genitori biologici e vicissitudini di vita. Quello che dovrebbe far riflettere noi oggi, è che Catanzaro viveva il Catanzaro e il Catanzaro viveva Catanzaro. Che non c’erano distanze, ma tutto era vissuto con il cuore e nel cuore della città. Che i giocatori erano fratelli, fidanzati, amici, conoscenti e quando rappresentavano la maglia giallorossa, rappresentavano un po’ di se stessi. Eravamo più ricchi, al punto da rivederci tutti in piazza e tra un gelato o un morzello non poteva che nascere l’amore. Che poi si vincesse, forse, non era un caso. Romanticamente potremmo anche dire che la mamma di Paola Caruso è Catanzaro, il padre è il Catanzaro. Tutto questo quando lo sport è un fenomeno sociale talmente importante da spostare l’economia, far costruire le strade, innamorarsi di un sogno e vivere perennemente in una favola. A volte non è a lieto fine, ma vuoi mettere una vita da vivere in un posto in cui sognare è realtà? 

Più informazioni su