Storia del pompiere Massimo Salsano sopravvissuto alla strage di mafia

Domani va in pensione il vigile del fuoco catanzarese rimasto ferito durante il suo intervento in servizio nell'attentato di via Palestro a Milano che nel '93 costò la vita a cinque persone 

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    Di Laura Cimino

    E’ il 27 luglio 1993 e sono le 23.04. Tre segnali brevi. Uno lungo. Tre brevi. E’ la richiesta di immediato soccorso ai vigili del fuoco. Siamo a Milano, e in via Palestro c’è del fumo che esce da una Fiat Uno di colore grigio, vicino al Padiglione di Arte Contemporanea. Si tratta di un’autobomba che di lì a breve esploderà, in quella che sarà poi ricordata come la strage di via Palestro.

    Nell’ attentato terroristico di Cosa Nostra persero la vita cinque persone, Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, vigili del fuoco in servizio, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina.Quattro persone rimasero ferite.

    Tra loro il pompiere Massimo Salsano di Catanzaro. Domani si terrà la festa per il suo pensionamento. Al vigile del fuoco catanzarese attualmente caposquadra dellla compagnia di Catanzaro  lo scorso 21 dicembre, nella sala del Tricolore della Prefettura di Catanzaro, e’ stato consegnata la Medaglia d’Oro per le vittime del terrorismo.

    Salsano era stato insignito nel 1993 con medaglia d’argento e, successivamente, con Medaglia d’Oro dal Presidente della Repubblica. La strage mafiosa di via Palestro, lo ricordiamo, si colloca tra gli attentati del ’92-’93 che provocarono la morte di 21 persone tra cui i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gravi danni al patrimonio artistico italiano.

    A seguire pubblichiamo stralci di un articolo uscito sul Corriere della Sera nel 2013 a ricordare la terribile vicenda attraverso le testimonianze. 

    ‘Quella notte – si legge nell’articolo – Era il turno C. Sull’autopompa Iveco, che da via Benedetto Marcello a via Palestro percorse via San Gregorio, corso Buenos Aires e corso Venezia, salirono i sette della squadra. Paolo Mandelli alla guida. Al fianco il capo Stefano Picerno: quel giorno era ancora in ferie, era rientrato dal viaggio di nozze tra Francia e Spagna, andò al lavoro per cortesia verso un collega, il primo capo Marco Bonomi, che a sua volta partiva per le vacanze (gli spettavano) e che da allora mai si è dato pace, incolpandosi della mattanza.

    Dietro, sui sedili schiena contro schiena, Sergio Pasotto (era il giorno del suo compleanno) e Antonio Abbamonte; più dietro gli ultimi arrivati Antonino Maimone, Massimo Salsano e Carlo La Catena. Abbamonte ha cambiato mestiere, casa, vita: se n’è andato in Asia. Sono ancora vigili del fuoco gli altri tre sopravvissuti Mandelli, Salsano e Maimone, testimoni della morte dei colleghi Picerno, Pasotto e La Catena’.

    ‘Una villetta a due piani a Catanzaro – si estrapola sempre dal vecchio articolo del Corriere parlando di Salsano quando si tratteggiano i soprvvissuti alla strage– un cucciolo di jack russel che corre come un pazzo, la casa l’ha costruita orgogliosamente da solo Massimo Salsano, figlio d’un imprenditore edile di origini salernitane sceso in Calabria per lavoro’. Per soffermarsi poi proprio sulle testimonianze dei sopravvissuti. Quella di Maimone: «Eravamo appena rientrati da un altro intervento, avevamo aperto una confezione di pasticcini per festeggiare sia il matrimonio di Picerno sia il compleanno di Pasotto. Venne l’ordine di partenza e qualcheduno sbuffò… Pareva una serata così tranquilla… Uscimmo. Il vassoio dei dolci restò sul tavolo. Qualcuno disse: “Dai, ce li mangiamo dopo al ritorno”».

    Salsano: «Poco prima una donna delle pulizie era rimasta chiusa nell’ascensore di un palazzo di uffici. Eravamo andati a liberarla». Alle 23.04 la chiamata per via Palestro. Mandelli: «La Fiat Uno aveva i finestrini leggermente abbassati. Usciva del fumo. Aprimmo le portiere e il fumo si diradò subito». Salsano: «Aprimmo anche il bagagliaio. E vedemmo quella cosa…». Maimone: «Era un involucro abbastanza grande… Pasotto, non me lo dimenticherò mai, pronunciò queste parole: “Sarà una cazzata, ma forse è una bomba”. Lo disse quasi ridendo… Picerno, il caposquadra, lo prese sul serio e ordinò di allontanarci». Mandelli: «Con Pasotto eravamo amici veri. Facevamo le nottate, in giro per Milano». Poi l’esplosione atroce.

    Salsano: «Eh, che pivellino… Ero fresco di Milano. Avevo giusto trovato casa, nell’immediato hinterland, una stanza a Rho. Ottocentomila lire d’affitto. Avevo scelto Rho perché ci abitava mio zio, il fratello della mamma. Pochi minuti prima della partenza per via Palestro avevo telefonato a papà, che viveva e vive a Catanzaro. Gli avevo detto che ero di turno. Quando i primi telegiornali diffusero le immagini, papà impazzì. Chiamò mio zio, e mio zio ci mise quattro ore per scovarmi in ospedale. Era il caos».

    Maimone: «”Sarà una cazzata, ma forse è una bomba”… Picerno ci aveva esortato ad allontanarci e qualche secondo dopo esplose l’ordigno. L’ho visto: un fascio di luce bianca che sale fino al cielo. E poi il silenzio. Silenzio assoluto». Salsano: «Non capivo niente. Mi sono sentito scaraventato a una cinquantina di metri di distanza». Mandelli: «Avevo la vista appannata. Mi aggrappai alla radio sul cruscotto dell’autopompa, sentivo le voci dalla Centrale, ma non riuscivo ad afferrare la ricevente. Tornai fuori, avanzavo verso i colleghi a terra, vedevo solo Pasotto». Maimone: «Con Mandelli provammo a rianimare Pasotto. Tutto inutile».

    E ancora dolore, ricordi, paura. Ancora oggi difficili da rielaborare, in una professione tuttavia portata avanti con fede fino alla fine.

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