Salvatore, volontario a Bergamo: “Aiuto la città che mi ha accolto 13 anni fa”

Salvatore Catalano è di Girifalco ma da 13 anni, vive a Bergamo insieme alla compagna e al figlio. Oggi è impegnato come volontario presso la Croce Azzurra del suo comune

Vivere a Bergamo ai tempi del coronavirus è una sfida contro il tempo. Contro il rischio di un contagio che corre veloce. Attraversa le case della città e miete vittime su vittime. C’è paura. Ma c’è, anche, tanta solidarietà. I volontari, attivi in questi giorni da nord a sud, sono tanti. Mascherina, guanti e via in trincea. Pronti ad aiutare gli altri. Salvatore Catalano lo fa a Bergamo, la città dei mezzi militari che trasportano le salme altrove perché chiese e cimiteri sono, ormai, saturi.

Salvatore è di Girifalco ma, da 13 anni, vive a Bergamo insieme alla compagna e al figlio. Insieme alla famiglia gestisce un’attività alle porte di Bergamo. Da ormai qualche settimana, però, è tutto fermo. Ma Salvatore non sta fermo. E’ impegnato come volontario presso la Croce Azzurra del suo comune. “Quando sono arrivato a Bergamo – ci racconta per telefono – sono stato accolto come in una famiglia. Ora mi sento in dovere di fare io qualcosa per questa terra. In questo momento così drammatico, la forza di noi volontari aumenta. Ritengo sia un dovere, per chi può, fare qualcosa per il prossimo. La quotidianità è stata stravolta. Si sente tanto la mancanza della famiglia, degli amici e della terra natìa. Ho la triste sensazione che, a differenza, di altre città, Bergamo, nelle ultime settimane, non ha mai “cantato”.

In questa città il silenzio è, da ormai troppo tempo, rotto soltanto dalle sirene delle ambulanze. Bergamo non canta, conta i morti. La situazione è, ormai, al collasso: gli ospedali non hanno più posti; medici, infermieri e operatori sanitari sono allo stremo. La gente resta a casa. E lo fa tenendo le finestre chiuse perché, in questo modo, le sirene delle ambulanze arrivano alle orecchie con meno prepotenza. Bergamo, la mia seconda città, affronta da settimane la sfida più dura: quella della vita contro la morte. Solamente, alla fine di questo incubo, Bergamo potrà cantare. E sarà un canto di liberazione”.

Salvatore, insieme alla sua famiglia, è un meridionale rimasto al Nord. Nonostante tutto: “Non voglio giudicare chi ha scelto di tornare. Credo solo che, chi ha preso il treno per tornare al sud, ha avuto poco rispetto per le istituzioni che, in questo momento, sono impegnate a fronteggiare l’emergenza. Ho scelto di non tornare a casa per non esporre al rischio contagio i miei parenti di cui, però, sento tanto la mancanza”.