Francesco, il papà “eroe” che lavora per il lieto fine della favola che racconterà alla sua piccola Carol

Operatore sanitario ha lavorato fino ad ora in carcere, ha risposto al bando nazionale ed ora opera al Centro Covid di Civitavecchia

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“C’era una volta una squadra di eroi. Vestiti con tute bianche, maschere che li facevano sembrare dei marziani e scarponi blu”.

E cosa dovevano combattere questi eroi?”

“Un nemico invisibile. Lo chiamavano Coronavirus, ma non c’entrava niente con le corone dei principi e dei Re delle tue favole”.

“E tu papà li hai conosciuti questi eroi?”

“Io, piccola mia, ho combattuto con questi eroi. E se oggi sono qui a raccontarti questa storia è perché abbiamo vinto”.

Sarà più o meno questa la trama di una ipotetica favola che Francesco, operatore sanitario catanzarese partito per Civitavecchia per dar man forte al centro Covid-19, potrà raccontare tra qualche tempo alla sua piccola Carol, che oggi ha 3 anni.

Troppo pochi per capire cosa sta accadendo intorno, abbastanza per sentire una mancanza come quella del suo papà.

E come lui tanti altri che in questi mesi hanno lasciato o solo trascurato i loro affetti per combattere una vera e propria battaglia contro un nemico tanto invisibile quanto  insidioso.

Padri, madri, amori, costretti ad una distanza fisica che però non è distanza dei cuori.

Francesco insieme ad altri quattro colleghi catanzaresi è un operatore sanitario che fino a qualche mese fa ha lavorato nella struttura carceraria di Siano.

Ha risposto al bando per la ricerca di operatori nei centri Covid in tutta Italia ed è partito.

Come partivano i militari per le missioni, anche quelle che in tempi moderni chiamano di Pace, ma che se ci sono militari con i carri armati e le armi in fondo di pace non lo sono mai.

E anche se in questa guerra non si sente il rumore delle armi, ci sono i morti. E tanto basta per definirla tale.

Ecco perché dai nostri vocabolari tornano parole come guerra, eroi, fronte, non più destinate ai soli libri di storia, ma anche  alle favole dei nostri figli.

Il tempo di permanenza di Francesco a Civitavecchia potrà durare da tre a sei mesi. Un tempo infinito per chi ha una famiglia lontana. Solo la certezza di star facendo la cosa giusta riesce a colmare in qualche modo il vuoto.

Qualcuno –  racconta Francesco –  non ha retto ed è già andato via, ma non gli si può dar torto, perché la pressione emotiva è davvero tanta e anche a livello fisico puoi non reggere”.

Ma reggi e resisti se sai che c’è chi con te sta condividendo un sacrificio. Perché sai che a casa ci sono due figli uno di 10 anni e la più piccolina di 3.

E il sacrificio  può essere anche quello di rinviare un sogno.

Si possono rinviare i sogni a data da destinarsi? Forse anche questo ci insegnerà alla fine tutta l’esperienza che stiamo vivendo. Abbiamo sempre ragionato come se inseguire i sogni significasse andare di fretta.

E se invece scoprissimo che quell’inseguire  semplicemente significa che i sogni hanno solo bisogno di tenacia e pazienza perché si realizzino?

E così la compagna di Francesco, che credeva che la data per il suo sogno fosse fissata per il prossimo tre luglio quando sarebbe salita sull’altare per diventare sua moglie, ha imparato in queste ore che la pazienza e la tenacia la porteranno ad indossare quell’abito . E se non sarà il tre luglio  ora non importa.

Che l’emozione non è tanto raggiungere la meta, ma nel viaggio che si vive per raggiungerla.

E se oggi questo viaggio è un po’ accidentato, la ricompensa sarà certamente più grande.

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