Antichi stabilimenti nel quartiere Marinaro di Catanzaro: la privacy e le regole da rispettare

Molti erano coloro che, purtroppo, non disponevano di grandi risorse, e, pertanto, edificavano sulla spiaggia i cosiddetti “pagliari”

di Elisa Giovene
Cambiano i tempi e anche la storia. Tutto si evolve, anche i contesti mutano e ci si rende conto di quanto le nostre vite siano diverse da quelle dei nostri avi. Un tempo, anche il quartiere marinaro di Catanzaro subì un lento evolvere e nonostante la città trovasse sempre più la sua espansione verso la zona nord, la “Marina” restava comunque il luogo di ritrovo estivo. Intorno al 1845, la zona dell’antico “Villaggio marina” era considerata ancora potenzialmente “zona malarica”, la spiaggia, però, veniva ugualmente frequentata dai nobili catanzaresi. In quel tempo vari furono i processi di bonifica e malgrado le problematiche non del tutto risolte, alcuni “precursori” del turismo lo avevano incentivato con l’uso di baracche edificate sulla spiaggia. Tuttavia c’era chi, diversamente, sceglieva di scendere giornalmente dalla città per curarsi dalle malattie reumatiche e godere quindi del mare. Questa nuova attitudine alla “villeggiatura” incluse anche la possibilità di usufruire di camere in affitto, e nonostante i prezzi fossero alti, venivano letteralmente prese d’assalto. In questo contesto molti erano coloro che, purtroppo, non disponevano di grandi risorse, e, pertanto, edificavano sulla spiaggia i cosiddetti “pagliari”.

Ci furono anche tempi particolari in cui, ovunque, la “riservatezza” era ritenuta fondamentale, tant’è che le donne usavano dei costumi castigatissimi (per lo più in lana per non far intravedere nulla) e, addirittura, anche le cabine erano dotate di ruote, affinché venissero traportate subito in acqua. Anche nell’antica “Marina”, si usavano carri trainati da buoi per arrivare direttamente in acqua, in modo da potersi bagnare lontano da occhi indiscreti. Fu così che si ebbe l’idea di creare delle baracche seguendo il modello della palafitta. Idea che venne in primis attuata da un certo Giovanni Miriello, detto “u scarparu”, alla sua morte la figlia ne prese l’eredità e con il marito diede molta valenza allo “stabilimento”, tanto da sbaragliare anche la concorrenza che all’epoca era costituita proprio dallo zio, Filippo Miriello. Così nel 1845, il “Villaggio marina” constava di due stabilimenti balneari e soltanto nel 1902, nacque il famoso lido “Geniuzza”. All’epoca, come si è già accennato, le strutture dei lidi venivano edificate in maniera tale da preservare la privacy, infatti le cabine erano divise in “donne e uomini”.

Quelle delle donne erano sempre in numero maggiore rispetto a quelle degli uomini, forse perché più numerose e potevano accedervi esclusivamente gli uomini sposati. In una “nota comunale” del 17 agosto 1925, si evidenziava finanche la “differenza di classe”, i poveri, infatti, venivano ricondotti ad usare solo due aree: una, andava dal Pontile sino alla Fiumarella e l’altra dalla “Casa Greco” (zona Monumento Ancora) sino al fiume Corace. Inoltre, l’Ufficiale di Governo, in un emendamento redatto nel luglio dello stesso anno, sanciva delle “regole” da dover rigorosamente rispettare. Alcune erano riferite al divieto di ogni tipo di “nudità” e in virtù di ciò gli uomini dovevano indossare “regolare calzonetto”, mentre le donne un “abito” che le copriva fin sotto le ginocchia. Inoltre, gli uomini non potevano passare nel reparto delle donne e le cabine potevano essere eventualmente occupate solo da marito e moglie. Ai “barcaioli” era fatto divieto passare con la barca davanti allo stabilimento ove si bagnavano le donne, o, se costretti a farlo, era d’obbligo una distanza di 60 m dalla linea dei stabilimenti. I proprietari dei lidi, avevano l’obbligo di mantenere, a proprie spese, un “battello” apposito per il salvataggio con personale qualificato e un numero congruo di salvagenti. Tale imbarcazione, doveva essere usata esclusivamente per il “salvataggio” e non a scopo di “divertimento”.

I titolari dei lidi, inoltre, avevano l’obbligo di adempiere ai propri doveri, di vigilare sulle necessità dei clienti e usare il massimo della cortesia. Coloro che avrebbero contravvenuto alle regole e alle disposizioni descritte, sarebbero stati sanzionati con pene già stabilite dalle leggi e dal regolamento in vigore. Affinché tutto potesse procedere nel migliore dei modi, gli agenti della forza pubblica ne avrebbero sorvegliato l’andamento. L’uso di tutti i “comfort” dei stabilimenti, avevano ovviamente dei costi e seguivano queste tariffe: i bagni comuni per le “donne” e per gli “uomini” ad un costo di L. 0,15, la cabina riservata L.0,80, se in uso a marito e moglie L. 1,50.

L’uso della biancheria poteva essere richiesto e i costi venivano così ripartiti: lenzuolo da bagno cent.10, maglia lunga cent.10, maglia corta cent. 5. Gli abbonati avrebbero usufruito di uno sconto particolare sui prezzi indicati e, infine, era possibile il fitto del salvagente ad un costo di cent.10. “ Il Villaggio marina”, ebbe comunque nel tempo una sua evoluzione e ciò riguardò anche la spiaggia che ovviamente incrementò i suoi lidi, mantenendo nel tempo il classico “modello palafitta”.

Non si può infatti dimenticare il “passato” di alcuni lidi che per il quartiere rappresentarono la “storia” della spiaggia catanzarese. Come non ricordare, per l’appunto il lido “Geniuzza” o il lido “Greco” e per citarne ancora qualcuno, si ricorderanno il lido “Mancuso”, il lido delle “Poste”, il lido “Anapi” e il lido “Sirena”. Infine come non menzionare il mitico “Miramare”, strutturalmente diverso poiché in muratura, tuttavia, sempre in tempi relativamente recenti (anni ’60), costituì per il quartiere lido un luogo quasi leggendario, sede di feste musicali, carnevalesche ed universitarie. Finché nel gennaio del 1972, dopo un’incessante mareggiata durata tre giorni, venne completamente distrutto e inghiottito dalla furia mare. (foto di Massimo Scarfone )