Le Camere Penali di Catanzaro e Vibo: “Rinascita Scott e il diritto di difesa alla prova del ‘processo del secolo'”

"A Roma in scena un film inquietante. Nonostante il riacutizzarsi del covid circa 600 persone, tra avvocati, magistrati, imputati, guardie penitenziarie, forze di polizia e personale amministrativo, costrette ad assembrarsi in condizioni disumane"

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    A seguire l’articolato intervento a firma del presidente della Camera Penale di Catanzaro Valerio Murgano e del presidente della Camera Penale di Vibo Valentia Giuseppe Mario Aloi

    L’inchiesta più grande della storia, l’aula più grande d’Italia, la costruenda aula bunker più grande del mondo”. Queste le parole con le quali il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, l’11 settembre scorso, ha “presentato” all’opinione pubblica a “reti unificate” l’avvio dell’udienza preliminare del processo “Rinascita Scott”.

    In effetti l’aula bunker di Roma “Rebibbia” è grande per davvero, il numero degli imputati impressionante, e certamente la costruzione dell’aula Bunker di Lamezia Terme – progettata per celebrare la fase dibattimentale del “super processo” – procede a ritmo incessante.

    Tutto straordinario se non fosse:

    – che il processo  doveva celebrarsi -nel rispetto della legge- in Calabria, nella sede più prossima (basti pensare l’aula bunker di Reggio Calabria in cui si è celebrato il maxi processo “Mandamento”) rispetto all’aula bunker di Roma;

    che un numero elevato di imputazioni risulta(va)no già infondate, così come stabilito nella fase cautelare, nelle rispettive funzioni, da GIP, TDL e Corte di Cassazione. I dati aritmetici che riportiamo per difetto, si commentano da sé: a) n. 345 misure cautelari applicate dal GIP ; n. 59 revoche/riforme post interrogatorio garanzia o 299 c.p.p.; b) n. 131 annullamenti e/o riforme TdL; c) n. 40 annullamenti (di cui 16 senza rinvio) della Corte Suprema (sezioni V e VI penale)[1];

    – che la sbandierata “necessità” di costruire un’aula di udienza tradisce la “consapevolezza” che coloro che non opteranno per il rito abbreviato saranno “certamente” rinviati a giudizio.

    – che, nonostante il riacutizzarsi dell’emergenza covid-19, oltre alla mortificazione delle regole processuali già segnalata, circa  600 persone, tra avvocati, magistrati, imputati, guardie penitenziarie, forze di polizia e personale amministrativo, sono stati “costretti” ad assembrarsi in condizioni disumane (persino l’acqua dopo poche ore è divenuta un miraggio), in nome della necessità, tutta mediatica, di costruire il “processo del secolo”;

    – che, a nulla sono valse le legittime istanze difensive (puntualmente rigettate) rivolte al GUP, semplicemente constatative di quanto era (ed è) sotto gli occhi di tutti: l’aula d’udienza non consente – in condizioni di sicurezza sanitaria – la celebrazione del processo;

    – che TUTTA la prima fila è stata “occupata” dai Pubblici Ministeri, con le difese “collocate” alle spalle dei requirenti, rimarcando (non solo simbolicamente, ove mai ce ne fosse bisogno) l’egemonia dell’accusa nel processo e una sua maggiore prossimità al Giudice;

    – che un numero esorbitante di avvocati – circa un terzo – è costretto ad esercitare il ministero difensivo disponendo solamente di una sedia, dunque, senza microfono e banco dove consultare il proprio fascicolo.

    Ore interminabili trascorse in totale “regime” (è il caso di dirlo) di assembramento: tutti a pochi centimetri l’uno dall’altro (con buona pace del distanziamento sociale), nella totale assenza dei servizi minimi, con le finestre sigillate e privi di aria condizionata. Anzi no. Per vero, i (soli) Procuratori usufruiscono di un ventilatore (fai da te), la cui capacità di areazione si arresta al primo banco, senza correre il “rischio” di dare sollievo agli avvocati.

    Più in alto e, se possibile, prima delle gravi criticità organizzative evidenziate (che pure mettono a repentaglio un bene primario qual è il diritto alla salute di tutti), emerge lampante come un processo elefantiaco a carico di 480 imputati si risolva “fisiologicamente” (sia consentito l’ossimoro) in un rito sommario nei confronti di “categorie criminologiche” assistite dalla presunzione di colpevolezza. Il resto è teatralità.

    Le Camere penali di Catanzaro e Vibo Valentia, accanto all’allarmante situazione in cui gli avvocati operano quotidianamente – a causa della diffusa delegittimazione della funzione difensiva (frutto della abusata  assimilazione tra l’avvocato e le ragioni del proprio assistito) – intendono portare all’attenzione del Presidente dell’Unione delle camere penali e della Giunta quanto sta avvenendo nel distretto con la celebrazione del processo “Rinascita Scott” (da considerarsi solo la punta dell’iceberg). Un processo “simbolo”, che rappresenta plasticamente la fase recessiva che attraversa il diritto di difesa e il definitivo sopravvento delle istanze di difesa sociale sulle esigenze di tutela delle libertà individuali, con conseguente stabilizzazione – anche culturale – dell’ideologia populista e del modello di diritto penale massimo, autoritario, repressivo, del nemico.

    Nella piena convinzione dell’irrinunciabile funzione di garanzia che l’avvocatura svolge all’interno della giurisdizione, è evidente come la stessa non possa piegarsi – se non smarrendo la propria ragion d’essere – alla continua, inarrestabile, pericolosa erosione dei principi e delle regole poste a presidio del giusto processo. Avvertiamo sempre più forte il pericolo, nell’esercizio della funzione difensiva, che la libertà e l’autonomina vengano definitivamente compresse (e compromesse) e, pertanto, sottoponiamo alla Vostra attenzione l’opportunità che la voce dell’Unione si levi forte contro la violazione sistematica dello statuto di garanzie che è proprio del diritto penale liberale.

    Occorre scongiurare il pericolo che chiunque rifiuti la visione panpenalistica del processo come strumento di lotta sociale e si batta, invece, per l’affermazione del giusto processo scolpito nella Costituzione – deputato all’accertamento della penale responsabilità del singolo, nel contraddittorio tra le parti, davanti a un giudice effettivamente terzo e imparziale – non sia avvertito come un soggetto estraneo al corpo sociale, bensì come il garante della tenuta democratica e liberale del nostro sistema giudiziario.

    Per fortuna esistono ancora fasci di luce che rendono meno oscuro l’orizzonte al quale ci affacciamo. Va dato atto, per amore della verità, che proprio mentre a Roma si dava avvio alla celebrazione del  “processo del secolo”, con tutte le criticità sopra evidenziate, non poteva registrarsi miglior vento contrario di quello che è soffiato, da libeccio, dalla punta dello stivale. Ci riferiamo all’intervista rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, il dott. Giovanni Bombardieri, il quale, ha ribadito con forza che “la professione del difensore è nobile ed indispensabile in un sistema democratico. Tutti hanno diritto ad essere difesi nel miglior modo possibile. L’avvocato non può essere attaccato perché fa il suo lavoro. Qualsiasi indagato o imputato ha diritto ad essere assistito in maniera adeguata. Anche se i fatti che vengono contestati sono gravissimi, il difensore, nel momento in cui svolge la sua professione in maniera leale e deontologicamente corretta, fa solo il proprio lavoro”.

    Le Camere Penali di Catanzaro e Vibo Valentia, nel ribadire  il grave momento di difficoltà che l’avvocatura vive nel Distretto di Corte di appello di Catanzaro, chiedono che la Giunta, accanto alla migliore iniziativa che riterrà di assumere nell’immediato, Voglia considerare indifferibile la necessità di una presenza forte dell’Unione sul nostro territorio, mediante la programmazione di un evento altamente simbolico e di respiro nazionale a tutela dell’effettività del diritto di difesa e dei valori del diritto penale liberale e del giusto processo.

     

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