Catanzaro e i suoi personaggi: la storia di “Jejè”, a “Niguruna”, “Peda e Ciucciu” e altri

La città che passa attraverso la sua familiarità con i personaggi che sono divenuti storia e tradizione

Della propria città, se ne ama ogni risvolto. Catanzaro, oltre che significare storia, arte e cultura, rappresenta anche quella parte di tradizionalità che contraddistingue ogni centro abitato. Ed è nella tradizione che viene espressa anche quella “familiarità” che molte volte segna alcuni abitanti come dei veri “personaggi”. Di loro se ne sono conosciute le caratteristiche in qualche modo singolari e certamente riconoscibili anche dai “nomignoli” da cui spesso sono stati accompagnati. “Quando ero giovine (e d’allora sono passati tanti e tanti anni), nelle mie passeggiate non certo sentimentali che facevo per le vie della città, io mi compiacevo, spesso, di ristare dinanzi ad umili case di lavoratori; oscuri lavoratori, nei nomignoli dei quali era tutta una storia di sapienza, di eroismo, di brutture, di difetti, di spavalderie talvolta.”

Questo è ciò che scrive Giovanni Patari, in un capitolo del suo “Catanzaro d’altri tempi”, rammentando alcuni personaggi che segnarono il vissuto della città. Se ne evidenzierà qualcuno, se non altro per porre in evidenza quel particolare mondo, fatto di “macchiette e tipi” come egli stesso definisce. Ed ecco che ricorda, Mastro Michele, l’Arditu. “Ardito” era il nomignolo, sebbene si chiamasse di cognome Russo, narrava le “gesta” di un suo lontano parente, Felice Russo, che, per quanto fosse “piccolo” era molto ardimentoso, tant’è che il 16 ottobre del 1864 aveva ferito quasi a morte Pietro Bianchi nel bosco di Cariglione, in uno scontro storico. Mastro Michele mentre lavorava, tra “’na ‘mpigna e ‘nu pettu” da cucire o inchiodare nel suo rione delle “Baracche”, raccontava di questi fatti contornato dai ragazzini del posto che lo ascoltavano quasi a bocca aperta. A lui si accostano altre figure popolane, anche femminili, come ad esempio “Cuncetta ‘a Sganga”, di cui, lo stesso Patari, ne pone in dubbio il significato o, ancora, “Tota ‘a Niguruna”, chiamata così per via del suo perenne abito nero, dei capelli scuri e di quel viso rugoso da vecchia “fattucchiera”.

Aggiunge ancora altri “personaggi”, come Maria Concetta ‘a Mbdiusa ( l’invidiosa), maestra molto conosciuta alla “Scinduta dei Forgi”. Donna matura e un po’ “cicciosa”, sempre elegante nel vestire, ma più che essere “invidiosa” era forse “invidiata”, anche se il “popolino” l’aveva così denominata. “Peda ‘e ciucciu”, era ancora un altro nomignolo, questa volta dato ad un facoltoso dell’alta nobiltà catanzarese, certamente un brav’uomo anche se un po’ “Don Giovanni”, ma comunque rispettabilissima persona. In questo caso, come sottolinea lo scrittore, si evidenziava come anche i nobili fossero assegnatari di “nomignoli”. Pare che il Patari, di questi nomignoli, volesse farne un piccolo vocabolario sul settimanale che dirigeva ( ’U monacheddhu) sottolineando quanto quei nomi fossero di data secolare, passando di generazione in generazione. Ed è proprio questo scorrere di generazioni che ci riporta ai nostri giorni e, se dei personaggi del Patari se ne può avere solo una sorta di immaginazione, quelli che più recentemente hanno segnato in qualche modo il centro cittadino non possono essere dimenticati, poiché hanno rappresentato una parte considerevole del nostro vissuto. Per tali ragioni ci si ricorderà del ragazzo “bonaccione”, di quel particolare “oste” delle tante “putiche” di Catanzaro o ancora dell’ecletticità di chi aveva l’estro della “personale arte”.

Ci si domanderà di chi si sta parlando, ma sarà facile ricondurre il ricordo nella loro personale descrizione. Quel “ragazzo bonaccione”, altri non potrà essere che “Jejé” ( nome forse datogli da una sua “espressione”), conosciuto probabilmente più dal suo “nomignolo” che dal nome anagrafico, cosa usuale come per altri “personaggi” di cui si è parlato. Il suo girovagare per la città portando delle buste piene di altre buste, non può non essere ricordato, pronto ad arrabbiarsi se lo si prendeva in giro per il suo immancabile ombrello, portato anche con il sole. Non riusciva ad esprimersi bene, ma certamente comprendeva ciò che gli veniva detto. Quel sorriso perenne fra la barba incolta, quasi a “deridere” chi gli passava accanto e lui, seduto sempre nei soliti posti, guardava quel mondo che gli scorreva intorno. Forse, un mondo tutto suo, certamente seguito da lontano da chi gli era più vicino. La sua scomparsa, quasi dieci anni fa, tuttavia la sua immagine non può che rimanere ancora vivida nei catanzaresi che lo rammentano. Fra i ricordi della nostra Catanzaro, non può certo mancare quello dei vicoli con le vecchie “putiche”. Quando si parla di putiche si parla anche di “morzello”, quello fatto ad arte, come lo cucinava “Pepè le Rouge”. Giuseppe Mangone, in arte per l’appunto “Pepé le Rouge” per via del colore dei capelli, è purtroppo scomparso alcuni anni fa, ma certamente quel “nomignolo”, come la preparazione del “suo” morzello ( ‘u morzeddhu), non può dimenticarsi. La “putica” di Pepé le Rouge, che fa parte della storia, era posta nel centro storico fra Piazza Roma e il Municipio, negli ultimi anni l’aveva ceduta, ma senza alcun dubbio egli fu uno dei più rinomati “puticari” che preparavano il prelibato spezzatino catanzarese. Ed ecco che, nuovamente, la storia passa attraverso nomi e personaggi, che talvolta sono stati conosciuti grazie alla personale poliedricità.

Ed è proprio la “poliedricità” che ci riporta ad uno dei personaggi più noti di Catanzaro: ‘u Ciaciu. Il suo nomignolo pare fosse dato dal suo particolare saluto, “Ciao..ciao”, detto in fretta, con il tempo era cambiato diventando il nome che lo individuava. Saverio Rotundo, così all’anagrafe, fu primariamente conosciuto per la singolare arte del “riciclo” e all’inizio delle sue espressioni artistiche quasi sopravvalutato. Scomparso lo scorso anno all’età di 96 anni, aveva fatto della sua arte una vera passione tanto da essere considerato un vero “Maestro” dell’arte della lavorazione del ferro, in seguito anche docente all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro con al suo attivo numerose mostre delle sue opere e tanti riconoscimenti. Di lui, personaggio estroso, rimane quell’immagine che spesso lo ritraeva nel condurre un carretto con la “roba da scarto” da lui reperita e adattata alle sue particolari opere che resteranno “immortali” e di grande espressione artistica. Personaggi e “nomignoli”, dunque, ripercorrono quasi la storia cittadina, tanti altri se ne potrebbero menzionare e con loro il vissuto di vie, di luoghi e soprattutto quella tradizione che non tramonterà mai.