Dall’Aventino al Reventino: il coraggio insospettato della politica calabrese

Gli effetti secondari della pandemia: Tallini e Spirlì, le massime autorità politiche regionali, sfidano il governo di Roma: effetto collaterale dell’era Santelli

 

Domenico Giannetta (FI) che vuole dimettere tutto il Consiglio regionale a cinque giorni dal suo congedo (come dire: l’importante, con buona pace di Mina, non è finire bensì prevenire); Antonino Spirlì (Lega) che né si spezza né si piega, e impugna ordinanze e decreti governativi; Domenico Tallini 1 (FI) che intima di abbandonare la Conferenza Stato Regioni (non avendo prossimo un Aventino, si potrebbe optare per il Reventino); Tallini 2 (sempre FI) che convoca con somma urgenza il Consiglio regionale (così sollecitato dalla Giunta e dai consiglieri di maggioranza) con un l’unico punto all’ordine del giorno sinistramente evocativo di altre e pregresse emergenze sanitarie: “Calabria Zona Gialla”.
Non c’è che dire: i politici calabresi scoprono – o riscoprono, se l’avessero tenuta proditoriamente nascosta – la virtù insospettata del coraggio che, come insegna il generale Sun Tzu nella consultatissima Arte della guerra, insieme alla determinazione e alla tempestività, fa di un semplice graduato un vero condottiero, un leader insomma. Sembrano passati anni luce, ma se c’era un tratto distintivo della politica calabrese – di tutta, a destra sinistra e centro – degli ultimi decenni, da Giacomo Mancini in poi insomma, rispetto ai comandamenti romani, era l’accondiscendenza verso le decisioni piovute dall’alto, da un alto per suffragarne l’ineluttabilità come l’uscita annuale del libro di Bruno Vespa, dall’altro per nascondere al “manifesto accorger de le genti” la sudditanza anche psicologica contro l’establishment di partito o di governo. Adesso, complice il generale aumento della conflittualità tra il governo di Roma e le Giunte regionali, catalizzato dall’emergenza sanitaria ma con significativi prodromi di qualche mese antecedenti, si assiste come a una mutazione antropologica che spiazza e, nello stesso tempo, diverte. Un po’ come successe sul finire dei Settanta nel mondo del calcio, quando sopraggiunse il calcio totale dell’Olanda di Cruijff e sconvolse le composte convinzioni difensiviste dell’Italia di Rivera.

Se questo è il quadro d’insieme, è interessante cercare di comprendere perché si evidenzia proprio oggi e proprio qui in Calabria. Le spiegazioni potrebbero essere, e sono, tante. Qui ne prendiamo in considerazione una forse laterale ma per nulla incongruente. Da parte dei rappresentanti del centro destra in queste settimane si è fatto spesso riferimento all’eredità lasciata dalla presidente Santelli con toni comprensibilmente molto encomiastici, in ciò alimentati dal comune, condiviso rimpianto. È opinione concorde, e finanche bipartisan, che l’esperienza Santelli si è consumata in un transito politico non difficile ma di più, nel quale le strettoie economiche e sociali imposte dalla pandemia hanno dettato tempi e modi degli interventi pubblici e compresso le volontà e i programmi di tutti, anche dei governi regionali, anche della giunta calabrese uscita dalle elezioni di gennaio. Eppure le evenienze di questi giorni, sulla sostanziale inerzia del sistema di governo regionale rispetto alla prevedibile seconda ondata virale, dovrebbero portare a una ricalibratura oggettiva del giudizio sui mesi passati, in virtù della quale, pur riconoscendo l’eccezionalità della situazione, si ammettano indecisioni e inefficienze nella programmazione di spesa e di operatività nel sistema sanitario emergenziale.

Se c’è viceversa un aspetto sul quale l’era Santelli ha sicuramente inciso, è proprio nell’atteggiamento verso il centro della politica e della cultura italiana, verso quel mondo romano in cui la presidente si muoveva a proprio agio per lunga consuetudine e che ha cercato di traslare in Calabria per quanto era nelle sue possibilità. I colleghi di giunta, insomma, e chiunque a lei si sia ispirato e da lei sia dipeso nell’azione politica quotidiana ha potuto constatare quanto siano raggiungibili i gangli vitali del potere politico e culturale, quanto sia facile dare del tu a ministri, segretari e presidenti di partito e direttori centrali, quanto sia possibile agganciare personalità come Minoli o Muccino e farli partecipi di un disegno complessivo ma pur sempre periferico, giusto o sbagliato che sia. Da qui ad ampliare gli orizzonti, a alzare il bersaglio, a cogliere obiettivi sempre più alti e ambiziosi, il passo è breve.
Poi, naturalmente, ci sono le convenienze, le astuzie e le tattiche politiche. Nell’attuale fase di contestazione è lampante la contrapposizione tra giunte di centro destra e governo centrale di segno opposto, è evidente quanto di questo dissidio venga manovrato per riscuotere consenso in una situazione molto critica, e chiaro quanto, per tornare e rimanere in Calabria, la prossima evenienza elettorale possa influenzare ma, purtroppo non eludere, il dibattito sulla (non) efficacia e sulla (non) efficienza del sistema sanitario calabrese.