Il tirocinante che ricorda il dottor Battaglia: “Pendevo dalle sue labbra”

Quel mese mi fece riscoprire la bellezza di questo lavoro, in un periodo in cui facevo fatica a vederla

Era un periodo difficile per me. Troppi tirocini passati a reggere i muri, il concorso di specializzazione che era imminente, ansia ed incertezze a mille.
Poi venni assegnato, nell’ambito della formazione post-laurea, presso il suo studio. Avevo enormi pregiudizi sui medici di famiglia e pensavo di perdere l’ennesimo mese. Insomma partivo male.

Poi iniziammo, e lo vidi all’operaAveva un’empatia pressoché perfetta, mai troppa mai poca. Sapeva rimproverare quando necessario, consolare quando richiesto.
Una conoscenza della fisiopatologia enorme, a partire dalle basi molecolari. Sempre aggiornato, sempre sul pezzo. Mi sentivo uno studentello alle prime armi a confronto, lo ascoltavo veramente pendendo dalle sue labbra e appuntando tutto quello che mi diceva.
Mi ricordo quelle sere di Giugno nel suo studio fino alle dieci e mezza di sera, perché ogni paziente meritava il giusto tempo e bisognava visitare tutti, ma proprio tutti. E lui che mi diceva “Vai Luí, se vuoi puoi andare”, e io che avrei voluto rispondere “E direi, sono le dieci e venti e sto morendo di fame” ma poi restavo perché era impossibile non restare con lui.

Insomma quel mese mi fece riscoprire la bellezza di questo lavoro, in un periodo in cui facevo fatica a vederla. L’ultimo giorno di tirocinio, appena facemmo l’ultima visita (ovviamente alle dieci di sera), mi disse: “L’arte medica è esercizio di creatività, mi raccomando Luì, vedi che devi fare”. E quando ora parlo coi pazienti cerco sempre di ricordarmi le sue parole: “Non li trattare da malati, ma non ti scordare mai che lo sono”.
Insomma, tutti i tuoi pazienti conservano un ricordo meraviglioso, e non è difficile capire perché.

Ciao Annibale. Grande medico, grande uomo.

Dott. Luigi C. Leta