Inaugurazione anno giudiziario, Camera penale Catanzaro: “Superare polarizzazione magistratura-avvocati”

Il presidente Murgano: "Ribaltato il principio di non colpevolezza. Ancora troppi errori giudiziari"

A nome della Camera Penale di Catanzaro “A. Cantàfora”, che ho il privilegio e l’onore di presiedere, porgo vivo e sentito ringraziamento a Sua Eccellenza, Il Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Dottor Domenico Introcaso, per l’invito rivoltoci a partecipare all’importante e quanto mai imprescindibile momento di riflessione sullo stato della giurisdizione nel nostro distretto di Corte d’Appello. Lo si legge nella relazione scritta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario Valerio Murgano presidente della Camera Penale
Un distretto giudiziario che, oggi più che mai, porta le stimmate dei tempi “bui” che stiamo vivendo. Il processo penale, infatti, da troppo tempo non è più concepito come luogo deputato all’accertamento di singole responsabilità individuali, bensì quale strumento dello Stato leviatano di regolazione dei conflitti sociali, ribaltando il principio di non colpevolezza.

Una potente macchina da guerra, che in nome di un “sano” principio, qual è quello della difesa sociale, non di rado finisce per dispensare errori e dolore umano, concretizzando, nei fatti, l’idea che la sanzione penale debba costituire una manifestazione di rancorosa vendetta.
In questo contesto, l’anno appena trascorso è senza alcun dubbio quello maggiormente segnato da zone d’ombre e lotte intestine tra gli attori della giurisdizione (come la cronaca di questi giorni ulteriormente certifica); elementi che, con ogni probabilità, finiranno per causare ulteriori tensioni interne, con inevitabili riflessi pregiudizievoli sulla collettività, accrescendo l’irrefrenabile deriva populista e giustizialista che, per vero, pervade oramai l’intero Paese.

E’ in atto un forte regresso culturale difficilmente arginabile. Il populismo penale è oggi al governo del Paese e raccoglie intorno a sé un facile quanto incontestabile consenso popolare. È ormai esplicita e politicamente rivendicata l’aggressione ai principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza, dell’eccezionalità della privazione della libertà personale che non segua alla esecuzione della pena, della tipicità, determinatezza ed irretroattività del precetto penale, della finalità rieducativa della pena, oltre che della sua proporzionalità e adeguatezza alla gravità della violazione commessa (Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo).

I valori del garantismo e del diritto penale liberale risultano oramai recessivi (anche perché controintuitivi ai più – V. Manes). Eppure, sappiamo bene che essere garantista significa riconoscere il diritto penale come scienza del limite; significa avere a cuore il rispetto del primato della legge e delle regole, sostanziali e processuali, a tutela delle libertà individuali di fronte al più terribile dei poteri, quello punitivo dello Stato.
In Italia, in oltre 40 anni, la popolazione carceraria è più che triplicata (D. Fassin). I tassi di incarcerazione sono aumentati del 180 % e con essi i numeri degli errori giudiziari (oltre 26.000 negli ultimi 25 anni).

In questo quadro fosco, è un fatto che il nostro Distretto Giudiziario e, più complessivamente i due Distretti calabresi, continuano a mantenere (da anni) il triste primato per il numero di errori giudiziari. Si registrano (molti, troppi) errori e conseguenti risarcimenti per ingiusta detenzione -solo minimamente- riparatori (chi può rimarginare le ferite umane, familiari, sociali ed economiche che ogni arresto – amplificato dalla immancabile gogna mediatica e dalle stimmate della condanna inappellabile del popolo – reca con sé?). Eppure, i nudi e inquietanti risultati dell’aritmetica dovrebbero farci riflettere non solo sul dato quantitativo (davvero sproporzionato rispetto al resto del territorio nazionale), ma inevitabilmente anche sul livello qualitativo della risposta alla domanda di giustizia che, evidentemente, nel nostro territorio manifesta forti criticità.

Tutto questo non è davvero più accettabile. Se a tutti noi stanno a cuore le sorti della Giustizia, dobbiamo avere il coraggio di superare la sempre maggiore polarizzazione tra Magistratura e Avvocatura e riservarci seri spazi di riflessione, all’interno dei quali avviare un dialogo franco e leale tra gli attori della giurisdizione!
Noi delle Camere Penali avvertiamo forte l’esigenza di lanciare l’ennesimo grido di allarme, affinché l’orrore della giustizia dei presunti colpevoli (nel cui contesto ideologico “l’imputato assolto è soltanto un colpevole che l’ha fatta franca”) possa essere arginato attraverso il recupero (anche culturale) dei valori che ispirano il diritto penale liberale e il quadro assiologico e lo statuto di garanzie formalmente riconosciuti nella nostra Magna Charta. Siamo sempre più convinti, infatti, che i principi costitutivi del nostro patto sociale siano più ignorati che reietti, più fraintesi che consapevolmente avversati, come puntualmente la nostra quotidiana esperienza professionale ci dà conferma ogni qual volta il cittadino vive sulla propria pelle la indispensabile e salvifica forza di quelli.

Occorre scongiurare il pericolo che chiunque rifiuti la visione panpenalistica del sistema penale e del processo come strumento di lotta sociale e si batta, invece, per l’affermazione del giusto processo scolpito nella Costituzione – deputato all’accertamento della penale responsabilità del singolo, nel contraddittorio tra le parti, davanti a un giudice effettivamente terzo e imparziale – non sia avvertito come un soggetto estraneo al corpo sociale, bensì come il garante della tenuta democratica e liberale del nostro sistema giudiziario.
Nell’odierno contesto, oggettivamente “plumbeo”, nel quale si fa strada la grammatica di un “diritto penale totale” (F. Sgubbi), abbiamo più volte rappresentato come l’abuso dell’esercizio dell’azione penale, della custodia cautelare, delle misure di prevenzione e delle interdittive antimafia, in assenza di politiche di investimento socio-economiche, soprattutto nella nostra amata terra, finiscano attraverso un’eterogenesi dei fini, per aumentare le disuguaglianze sociali e ingrossare le fila della criminalità organizzata.

E allora, se il 2020 verrà ricordato come l’anno del maxi processo, della realizzazione della più grande aula bunker, della pandemia e del processo da remoto, a noi pare che di tutto questo non si possa gioire.
Insomma, l’acuirsi di ogni accento autoritario e giustizialista non può fungere da bussola per orientare una corretta politica giudiziaria. Se quest’anno il Guardasigilli non ha potuto tenere la sua relazione sullo stato della giustizia in Italia, ciò conferma, ancora una volta, la fondatezza dei timori avvertiti dall’Unione delle Camere Penali rispetto alle rancorose (e alla fine implosive) politiche giudiziarie del Governo giallo-rosso, sempre più ispirate da logiche populiste e giustizialiste.

L’Avvocatura penalista non ha mai messo in discussione, né mai lo farà, al di fuori delle aule di giustizia, il merito delle inchieste giudiziarie. Sappiamo bene quanto sia necessario che lo Stato difenda se stesso e i propri cittadini dall’aggressione terroristica, dalla soffocante pervasività mafiosa (storicamente radicata sul nostro territorio), e dalla diffusa propensione corruttiva nella politica e nella pubblica amministrazione; nondimeno crediamo che tali primari scopi di politica criminale debbano essere perseguiti, in uno Stato di diritto, senza alterare né gli equilibri costituzionali che regolano il cruciale rapporto tra potere coercitivo e diritti fondamentali della persona, né la separazione dei poteri. Ciò che avversiamo, allora, è il metodo di delegittimazione e distruzione del soggetto indagato – tipico di ogni regime autoritario – che esposto al pubblico ludibrio, si trovi costretto a scontare a vita una condanna sociale, feroce, immediata e senz’appello, prima ancora che nei suoi confronti sia stata accertata, con sentenza definitiva, alcuna responsabilità personale (e, addirittura, ancor prima di esercitare un minimo di diritto di difesa); la spirale dell’abuso della custodia preventiva, acuita dallo smodato utilizzo delle intercettazioni e dall’eco generata dalla diffusione delle captazioni telefoniche e ambientali – sempre più spesso travisati nel significato – rappresenta icasticamente l’imbarbarimento di un sistema giudiziario che ammette tutto questo.

La violenta e illegittima campagna mediatica degli organi deputati istituzionalmente a investigare sull’esistenza di condotte penalmente rilevanti, e non a ergersi a moralizzatori della società, ha finito per snaturare il ruolo e gli equilibri all’interno di un sistema che non è più quello disegnato nella nostra Carta Costituzionale e nel codice di rito.
Ed allora, se i Procuratori diventano i tribuni del popolo, conclamando giudizi di condanna che, sul piano mediatico risultano già definitivi nella assoluta assenza di contraddittorio e di terzietà, la coscienza democratica, chiama tutti coloro che hanno ancora a cuore lo Stato di diritto ad erigere una argine. L’attuale emergenza giudiziaria nel nostro Distretto non può restare senza analisi e senza reazione, perché se noi rinunciamo a reagire a questa deriva, allora una modalità di regime si impone alla democrazia (liberale) e la libertà di tutti, di ciascuno di noi, ne risulta soppressa.
Nell’ottica di tale insopprimibile necessità abbiamo licenziato pochi mesi fa un documento, attraverso cui sono state affrontate le citate problematicità in afferenza al processo Rinascita–Scott ma, in generale, rispetto al quotidiano svolgersi della giurisdizione nel nostro distretto di Corte di Appello. Tale processo, infatti, è solo l’esemplificazione dimostrativa della fase recessiva che attraversa il diritto di difesa e il definitivo sopravvento delle istanze di difesa sociale sulle esigenze di tutela delle libertà individuali, con conseguente stabilizzazione – anche culturale – dell’ideologia populista e del modello di diritto penale massimo, autoritario, repressivo, del nemico.

Nel susseguirsi di questi accadimenti, l’aver ribadito durante l’audizione della Commissione Parlamentare Antimafia tenutasi a Vibo Valentia i profili di criticità che a nostro avviso segnano, indebolendola, la risposta dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata, ci ha consentito, ancora una volta, di mettere al centro del dibattito pubblico il necessario rispetto delle garanzie costituzionali che tutelano le libertà individuali.
L’audizione, infatti, ci ha permesso di segnalare quelle che a nostro avviso sono le criticità delle politiche di contrasto al fenomeno mafioso, ovverossia:
1. La sproporzione e l’utilizzo eccessivo dei provvedimenti cautelari (non solo in ambito processuale penale);
2. L’erosione delle garanzie difensive poste a presidio del diritto penale liberale e del giusto processo;
3. L’assenza (soprattutto in Calabria) di politiche sociali e culturali come forme alternative di lotta alla mafia e di recupero degli individui detenuti al termine del percorso carcerario.
A ciò si aggiunga, che (anche) l’attuale sproporzione tra il numero effettivo dei magistrati requirenti che compongono l’Ufficio di Procura (ben 27 tra Sostituti, Procuratore aggiunto e Procuratore Capo) e quello sott’organico dell’Ufficio Distrettuale GIP-GUP (appena 11), rappresenta un ulteriore elemento di squilibrio all’interno del(corretto esercizio del)la giurisdizione, incidendo inevitabilmente sul (già gravoso) carico di lavoro dei Giudici per le indagini preliminari, con inevitabili riflessi sui tempi e sulla qualità dell’autonoma valutazione.
L’invito della Camera penale di Catanzaro è, allora, quello di riappropriarsi – al netto di preoccupati soggettivismi – ciascuno nel proprio ruolo, di una coscienza sociale comune, capace di resistere al vento forte del populismo giudiziario in nome dei principi sottesi alla tutela delle libertà dei cittadini. Che si indaghi, si difenda e si giudichi tenendo sempre alto il vessillo delle garanzie e assicurando il primato assoluto della Legge.