Inaugurazione anno giudiziario, Talerico: “No ad apparati deviati e pressioni mediatiche sulla giustizia”

Il presidente dell'ordine degli Avvocati di Catanzaro: "L’Avvocatura non commenta le inchieste, ma deve avversare nel pieno rispetto di uno Stato di Diritto e non di Polizia"

In quest’ultimo anno la Giustizia ha subito l’ennesimo rallentamento e introitato ulteriori ritardi a causa del covid, nonostante ciò dai dati ministeriali il Distretto di Catanzaro è risultato essere tra i più produttivi d’Italia, grazie anche al sacrificio e disponibilità di tutte le componenti coinvolte, Avvocatura, Magistratura e impiegati amministrativi”.  Lo dice  il presidente dell’Ordine Distrettuale degli Avvocati di Catanzaro. Lo scrive  Antonello Talerico nella sua relazione per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario.

Ad ogni modo l’anno scorso avevamo invocato, senza alcun riscontro, la presenza del Ministro della Giustizia, in un momento storicamente drammatico, per l’arresto del Presidente della Corte di Assise di Appello (condannato, poi, ad una pena esigua rispetto ai fatti addebitati) e, per via di altri arresti eccellenti, che avevano comunque scosso l’intero ambiente giudiziario calabrese.

Oggi prendiamo atto della partecipazione del Ministro della Giustizia di un Governo dimissionario, lo stesso Ministro che in occasione della consegna (inaugurazione) dell’odierna aula bunker ha omesso financo di invitare le rappresentanze dell’Avvocatura, cioè una componente essenziale del Processo, dimenticando probabilmente, nonostante il suo precedente status di coiscritto all’Albo, che esistono gli Ordini del Distretto.

La presenza del Ministro consente di affrontare il tema dell’efficienza della Giustizia, che non esprime solo il grado di civiltà di una comunità, ma rappresenta anche il punto di partenza per la crescita e lo sviluppo economico di un Territorio, tant’è che l’Unione Europea aveva subordinato l’erogazione di una parte dei fondi del Recovery Plan proprio alla previsione di interventi concreti sugli apparati giudiziari.    Ecco perché ho inteso leggere la Relazione del Ministro sull’amministrazione della Giustizia che non abbiamo avuto la possibilità di ascoltare nelle sedi istituzionali per le ben note vicende politiche.

In questa relazione si registra una visione teorica del diritto e del processo, una lacunosa individuazione di un piano organico di riforme, di obiettivi, di soluzioni innovative per un immediato impatto sull’attuale situazione e per una pianificazione nel medio e lungo periodo.

Si trattava di sfruttare una occasione irripetibile per trasformare profondamente anche il sistema giudiziario oramai al collasso e, che purtroppo vedrà al massimo l’ennesima inutile riforma del processo dell’ultima ora, come se il vero problema fosse semplicemente nelle regole processuali  E non già la carenza di efficacia (quale capacità di raggiungere un obiettivo senza lo spreco di risorse) o di efficenza (quale rapporto tra risultati ottenuti e le risorse impiegate).

In questa relazione non ho letto quella Giustizia che ogni cittadino avrebbe diritto di pretendere per la tutela effettiva dei diritti, per la ragionevole durata del processo, per equità sociale, per la certezza del diritto, per la riduzione dei costi che limitano sempre più il diritto di difesa e l’accesso stesso alla Giustizia.

Ed invece, abbiamo registrato l’ennesima matrice che esalta il solito populismo giudiziario, che negli ultimi anni ha prodotto nuove ipotesi di reato inutili, proposte di riforma solo sugli effetti (ex multis, ricordiamo la riforma sulla prescrizione che avrebbe aumentato la durata dei processi senza alcun beneficio per il cittadino) e non sulle cause (insufficienza di risorse organiche e finanziarie) della inefficienza ed inefficacia della Giustizia e, con l’adozione di provvedimenti disorganici sintomatici spesso di una totale ignoranza dei più elementari principi di diritto sostanziale e processuale.

Purtroppo, sotto altro aspetto siamo giunti ad un processo dove l’Avvocato viene a volte considerato piuttosto un peso per la macchina giudiziaria, per cui vengono creati nuovi termini decadenziali o perentori o reso più complicato l’adempimento di una attività processuale o procedurale e, costretto spesso ad attendere tempi biblici per avere risposte anche rispetto alle più elementari verifiche connesse al diritto di difesa.

Nel corso della Pandemia l’Avvocatura è stata costretta a conoscere decine e decine di protocolli diversi tra loro, adottati dai diversi Tribunali d’Italia, ciò in conseguenza del mancato coordinamento con i diversi Uffici Giudiziari da parte del Ministero della Giustizia e di una normativa sempre più agnostica e lacunosa.

Nonostante le incomprensibili decisioni del Legislatore dell’emergenza avessero generato le condizioni (tra cui la previsione di uno smart working incompatibile con le modalità operative richieste) per l’acuirsi dello scontro categoriale tra Magistrati, Avvocati e corpo amministrativo, il buon senso e la collaborazione hanno consentito comunque – pur non senza qualche tensione – di contenere le criticità, ciò attraverso l’ennesimo adattamento e sacrificio richiesto all’Avvocatura rispetto alle nuove procedure, alle nuove modalità di accesso e di comunicazione con le cancellerie, sostituite dai c.d. front office (in Tribunale è stata prevista la necessità della prenotazione che consente l’accesso allo sportello mediamente non prima di giorni trenta).

Ad ogni modo, anche nel 2020 si sono registrati i gravi ritardi della giustizia civile, poiché i cittadini attendono in media oltre dieci anni per la definizione di un processo ordinario supportandone ogni costo e incertezza sull’esito (per via di una giurisprudenza sempre più creativa ed instabile a livello interpretativo).

Al pari gli Avvocati non potendo fare affidamento su retribuzioni fisse mensili rimangono ancorati ad un mandato difensivo, con l’incertezza del proprio compenso o con la negazione del proprio compenso in virtù di plurimi cavilli formali capaci di determinare la revoca dell’ ammissione al gratuito patrocinio dopo anni ed anni di attività (a volte il processo penale arriva a termine senza alcuna pronuncia sull’ammissione o meno al gratuito patrocinio da parte dell’istante), a cui deve aggiungersi la liquidazione dei compensi in aperta violazione di legge poiché parametrati con i minimi tariffari ridotti addirittura anche fino all’80% (nonostante il DM n. 37/2018 avesse espressamente previsto la liquidazione dei valori medi ridotti non oltre il 50%).

Dagli ultimi dati ufficiali la Calabria nel 2019, ha fatto registrare 212 (su 1000 in tutta Italia) nuovi casi di ingiusta detenzione (83 nel Distretto di Catanzaro), con oltre 15 milioni di euro di risarcimento del danno.

Questione Aula Bunker.

In Calabria, terra dei processi di ndrangheta, lo Stato non ha inteso realizzare nel capoluogo di Regione (sede naturale) l’aula bunker, nonostante fosse stata sollecitata più volte agli apparati del Ministero della Giustizia, anche da parte del Presidente della Corte di Appello di Catanzaro, Domenico Introcaso, il quale nel marzo 2019 aveva comunicato la necessità di reperire con urgenza strutture idonee per la celebrazione dei processi di criminalità organizzata, anche nella prospettiva del ben noto processo Rinascita Scott.

Successivamente il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria ebbe a proporre soluzioni impraticabili, salvo poi celebrare il processo Rinascita Scott dapprima fuori Regione e, di poi individuando la sede provvisoria di Fondazione Terina di Lamezia Terme, con l’auspicio di realizzare l’aula Bunker a Catanzaro.

Se così non fosse Catanzaro sarebbe l’unico capoluogo di Regione a non avere una propria Aula Bunker (rilevata l’inadeguatezza dell’Aula Bunker di Via Paglia).Sennonchè, in questi mesi la stampa nazionale si è occupata di alcune importanti inchieste giudiziarie (per numero di persone coinvolte e per il ruolo ricoperto da alcuni indagati) del Distretto di Catanzaro, a volte più per gli scontri mediatici a distanza che non per le singole operazioni in sé.

Resta inteso, che siamo tutti convinti che in Calabria occorra procedere allo smantellamento degli apparati deviati, di quelli collusi e di quelli che con la ndrangheta fanno affari. Ma occorre anche che la magistratura giudicante non subisca pressioni mediatiche o peggio ancora condizionamenti ambientali, anche indiretti e/o indotti da fattori contingenti.

Orbene, molti dimenticano che se c’è una Procura che chiede l’applicazione di una misura custodiale, la stessa viene applicata solo a seguito di una valutazione fatta da altro Magistrato circa la sussistenza o meno delle condizioni che l’ammettono.

Ciò che fa paura è la circostanza che in alcune occasioni nonostante anche il Tribunale della Libertà avesse confermato le valutazioni del Gip, rigettando il riesame del soggetto cautelato, è capitato che la Cassazione, a distanza anche di mesi dalla carcerazione, adottasse un provvedimento di contrario avviso escludendo addirittura gli indizi di reato.

E’ ad esempio la storia di un Sindaco di un Comune calabrese, che in quegli otto mesi di carcerazione ha perso tutto, la sua libertà, la sua carica di sindaco, la sua famiglia, la sua pace, forse anche la sua dignità di uomo. E’ una storia che può capitare a qualsiasi cittadino ingiustamente detenuto.

L’Avvocatura non commenta le inchieste, ma deve avversare nel pieno rispetto di uno Stato di Diritto e non di Polizia, la violenza populista che si innesca a danno di chi risulta essere semplicemente, ancora, una persona indagata, esposta alla gogna mediatica, anche in conseguenza della pubblicazione e diffusione immediata di contenuti intercettivi equivoci e spesso anche indifferenti rispetto all’ipotesi accusatoria. Segmenti di vita personale ed intima che diventano la principale attrattiva dell’opinione pubblica, a prescindere dall’interesse sull’effettiva responsabilità e/o colpevolezza ed a prescindere dalla conoscenza dei fatti di rilievo penale.

Ma questa non è la finalità del diritto e del processo penale.

Non è Giustizia”.