Nuovi equilibri mafiosi, armi nascoste nel cimitero, le “imbasciate”, imprenditori spaventati che diventano “collusi”

I nuovi scenari criminali delineati dalla DDA di Catanzaro e dalle indagini condotte dai carabinieri

“Il procedimento ha disvelato la commissione di un’allarmante serie di estorsioni di matrice ‘ndranghetista a danno di imprenditori operanti tra i Comuni di Amaroni, Vallefiorita, Borgia, Girifalco, Squillace Lido e territori limitrofi. In particolare, è emerso che a seguito di diverse operazioni condotte dalla D.D.A. della Procura di Catanzaro vi è stato un riassetto degli equilibri ‘ndranghetisti che ha portato all’emersione di figure criminali che, in virtù di vincoli parentali e/o di pregressi rapporti con esponenti di spicco della criminalità organizzata nel territorio suindicato, hanno “preso le redini” di una delle attività tipicamente maliose, ossia le estorsioni”.

E’ questo l’incipit dell’ordinanza firmata dal Gip Alfredo Ferraro in accoglimento delle richieste formulate dal procuratore capo Nicola Gratteri,  e dal procuratore aggiunto Vincenzo  Capomolla e dal sostituto Debora Rizza, che ha portato all’arresto di tre persone nell’ambito dell’operazione Pneus (il nome dell’operazione è dovuto al fatto che uno dei sei indagati vende pneumatici).

In tutto le persone indagate sono sei. Il provvedimento è scaturito all’esito delle attività di indagini condotte dai Carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro, in particolare dai militari  del Nucleo Investigativo di Catanzaro e della Compagnia di Girifalco

Gli imprenditori si piegano alle richieste pagando il c.d. “pizzo”, senza accorgersi di entrare irrimediabilmente in un circolo vizioso costellato di continue ed insistenti richieste

“Va premesso, – scrive ancora il Gip –  infatti, che generalmente le associazioni mafiose, di qualsivoglia denominazione o origine geografica (‘ndrangheta, camorra, ecc.), pongono in essere numerose estorsioni sovente organizzate alla stregua di una vera e propria attività lavorativa. Trattasi, in effetti, di una totale distorsione di ciò che si ritiene lecito, normale, o addirittura dovuto, dai membri di associazioni criminali di stampo mafioso i quali, forti del vincolo che li lega al gruppo di appartenenza e della capacità intimidatoria che da esso promana nel territorio di riferimento, avanzano (privi di qualsiasi lecito titolo) richieste di denaro a imprenditori che, pur di poter continuare a svolgere la loro attività di impresa (solitamente coincidente con la loro unica fonte di reddito) si piegano alle richieste pagando il “pizzo”, senza accorgersi di entrare irrimediabilmente in un circolo vizioso costellato di continue ed insistenti richieste”.

La particolare diffusione di questo fenomeno ha portato in certi casi alla conversione dell’imprenditore vittima in imprenditore colluso

“La particolare diffusione di questo fenomeno ha portato in certi casi alla conversione dell’imprenditore vittima in imprenditore colluso, conversione questa che avviene tendenzialmente allorquando l’imprenditore inizia a scorgere dei vantaggi derivanti dal pagamento del pizzo (come ad esempio l’aiuto degli ‘ndranghetisti per vincere gare di appalto pubbliche, o per annullare la concorrenza con altri imprenditori che restano vittime di queste dinamiche).

Cosa è emerso durante le indagini: i due nuovi gruppi criminali

“Gli indagati, dunque, alla luce del numero di contestazioni e del concreto contributo offerto alla realizzazione delle condotte delittuose, devono essere considerati suddivisi in due gruppi.  Quanto al primo gruppo va rilevato, che da un lato il Felicetta assume una posizione di preminenza, quasi dovuta, alla luce dei legami di sangue con il membro apicale della ‘cosca Bruno’, ora detenuto, Bruno Francesco ; dall’altro lato il Vitellio,  risulterebbe organico alla ‘ndrangheta, assume le vesti di sapiente e fidato consigliere del giovane Felicetta, dispensando “dritte” e suggerendo strategie da adoperare per il buon successo dei loro propositi”.

La “tranquillità ambientale” proposta alle vittime tramite “intimidazioni”. L’attività crimnale  del primo gruppo

Secondo la prospettazione accusatoria, scrive ancora il Gip nel suo provvedimento,  Gennaro Felicetta , in concorso con un soggetto non meglio identificato, per procurarsi un ingiusto profitto, consistente nel conseguimento del prezzo necessario a garantire la “tranquillità ambientale” dell’attività di un’impresa esecutrice di lavori di scavo ed installazione di cavi appaltati da Enel  nel Comune di Amaroni , inizialmente (nei primi giorni di febbraio 2020) mediante minaccia rivolta per il tramite  del proprietario del container adibito ad ufficio, che, due giorni dopo, veniva distrutto dalle fiamme a causa di un incendio doloso appiccato nella notte da ignoti coinvolgendo i mezzi della ditta,   intimava al titolare della ditta “dì a quello di mettersi a posto … o di spostare i mezzi

Il secondo gruppo mirava ad ottenere il 5% sugli appalti ed il dictat del boss

Quanto al secondo gruppo, invece, si tratta di soggetti che vantano diversi legami con la ‘ndrangheta e che nelle condotte assumono le vesti di complici, talora contribuendo materialmente, talaltra moralmente, alla commissione dei diversi delitti. Dal racconto di una delle vittime emerge che il fine degli indagati era quello di percepire almeno il 5%  dei lavori appaltati.

Il  modus operandi degli indagati, , è sempre lo stesso: il boss dispone il dictat il suo complice, il Vitellio, convoca la vittima; il Vitellio riferisce il messaggio da parte del boss. Risulta del tutto evidente come tali modalità amplificano la carica intimidatoria nei confronti della vittima, la quale si trova di fronte il messaggero del boss che adopera un approccio definibile “più morbido”. In altri termini, questo modo di operare contiene un’altra minaccia, implicita, oltre a quella principale ed esplicita, e cioè che il mancato rispetto del dictat potrebbe provocare reazioni del boss che, di fronte alla disubbidienza, potrebbe decidere di intervenire anche personalmente.

Il ruolo dei collaboratori di giustizia

A ciò si aggiungono le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia : “Il collaboratore di giustizia Danieli,  – scrive il giudice – riferiva, che il Vitellio occultava le armi nel cimitero di Vallefiorita e nella sua campagna, e che le deteneva per conto del boss Bruno. Tale ultima precisazione integra pienamente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa poiché detenere e occultare le armi per conto del boss di una cosca ‘ndranghetista integra una condotta logicamente finalizzata all’agevolazione della cosca medesima. In altri termini, il Vitellio preoccupandosi non solo della detenzione ma anche dell’occultamento delle armi assicurava, al contempo, la disponibilità di un arsenale (indispensabile per mantenere l’egemonia sul territorio e per contrastare eventuali cosche rivali) e la non immediata riconducibilità del medesimo arsenale al boss e alla sua cosca. Nessun dubbio, per Io meno a livello di gravità indiziaria, sulla consapevolezza che tale condotta avrebbe di fatto agevolato l’intero gruppo, tant’è che ne era al corrente anche il Danieli”.

Tolone “fiore all’occhiello della malavita”. Le parole dei collaboratori di giustizia

Altro soggetto di spicco risulta Tolone identificato da ben tre collaboratori di giustizia come “fiore all’occhiello della malavita”. Ecco cosa hanno detto  i collaboratori di giustizia  in merito al Tolone: Salvatore Danieli lo definisce contiguo alla cosca Catarisano di Roccelletta di Borgia. In particolare, il collaboratore riferiva di vere e proprie riunioni degli esponenti delle cosche ‘ndranghetiste di riferimento al fine di nominare un referente per le attività estorsive. A tali riunioni, tra gli altri, partecipava anche il Vitellio, e Salvatore Abbruzzo proponeva, per il ruolo  di referente per le estorsioni nella zona di Girifalco proprio Vincenzo Tolone. Santo Mirarchi dichiarava che la famiglia Tolone era appartenente alla ‘ndrangheta, riferendosi poi ad un Tolone di cui non ricordava il nome ma individuandolo come titolare di una ditta di calcestruzzo. Il Mirarchi parlava anche  della cosca Bruno di Vallefiorita.

Francesco Mammone dichiarava che era molto vicino a Luciano Babbino , membro di spicco della cosca di Vallefiorita, e che da questi apprendeva diverse notizie rilevanti sulla cosca Bruno. Il Mammone, in particolare, riferiva di un tale Tolone, titolare di una ditta di calcestruzzo, definendolo il “il fiore all’occhiello” della cosca di Rocelletta di Borgia.

L’intimidazione al supermercato  e “l’imbasciata”

Nelle mire degli indagati anche un supermercato di Squillace lido. In particolare, durante le intercettazioni è stato chiaro che  Felicetta specificava di aver mandato un’imbasciata alla proprietario del centro commerciale. appare evidente che lo stesso abbia  convocato, sicuramente per più di una volta, la vittima avanzando le sue richieste estorsive e paventando i rischi in caso di mancato pagamento; ha individuato la data di scadenza entro la quale le sue richieste dovevano essere esaudite, pena il “saltare in aria”.

Saranno gli avvocati difensori a provare a smontare le accuse durante gli interrogatori che si terranno nei prossimi giorni.

Alcuni degli indagati, in particolare, hanno nominato come loro legali di fiducia Salvatore Staiano e Antonio Lomonaco