Cantisani, il ricordo di Furriolo: Un grande storico e uomo dalla cultura ampia e plurale

Cantisani scandiva, incutendo generale rispetto, tutti gli eventi pubblici e religiosi di Catanzaro

di Marcello Furriolo

Stamattina le campane delle chiese di Catanzaro hanno suonato, mestamente, a lutto, scandendo nel dolore più profondo la conclusione della vita terrena di un Uomo buono,di un fine intellettuale, del più grande Arcivescovo che la Diocesi di Catanzaro-Squillace abbia avuto a cavallo di due secoli.
Mons. Antonio Cantisani è ritornato in pace nella Casa del Padre.
Catanzaro, la Calabria e l’intera comunità che ha avuto il dono e il privilegio della Sua parola e del Suo esempio piange il vuoto lasciato da questa figura fulgida di Uomo del dialogo e della ricerca della Verità nella Misericordia. Perchè Mons. Cantisani è stato tutto questo e tanto altro, che anche le nuove generazioni dovranno imparare a conoscere e la cui vita esemplare, dovrà aiutare la Chiesa locale, proprio in queste ore attraversata nel suo interno dal peso sofferente delle umane debolezze ed errori, a ritrovare con fervido coraggio il giusto cammino della speranza e della luce rigenerante. Ecco perchè, mai come in questo momento, allo sconforto per la perdita di un Grande Pastore e di un Amico immenso, deve farsi spazio, nelle coscienze libere e pure, al dovere di far germogliare in frutti generosi il Suo esempio, il Suo insegnamento, i Suoi sacrifici e le Sue sofferenze.

Dire che la mia vita è stata contrassegnata da grandi appuntamenti con la figura di Don Antonio Cantisani, forse non rende fino in fondo, quanto quest’Uomo e questo Sacerdote mi abbiano accompagnato nei momenti più esaltanti, ma anche in quelli in cui è messa a dura prova la propria Fede e la fiducia nell’equità degli uomini. In ogni circostanza Mons. Cantisani ha saputo trovare le parole appropriate per rendere godibile nel Signore la gioia delle grazie ricevute e offrire al Cristo il dolore delle ingiustizie patite, in una straordinaria esperienza di Vangelo della Vita.
Ci sono dei momenti nella vita di un uomo e nella storia di un politico, che sono destinati a lasciare una traccia indelebile e che segnano il percorso umano futuro. In questi momenti ho sempre avuto al fianco Don Antonio Cantisani. Come in occasione della memorabile visita di Giovanni Paolo II, il 6 ottobre 1984, che è stato l’evento più importante e significativo della mia esperienza umana e pubblica e ritengo una tappa straordinaria e irripetibile nella coscienza collettiva della comunità calabrese e catanzarese. E non potrò mai dimenticare l’emozione provata nel momento in cui Mons. Cantisani mi convocò in Curia, sul finire dell’anno 1983, in grande riservatezza e urgenza, per comunicarmi, con paterno affetto e compiacimento, che molto probabilmente nel corso dell’anno 1984 il Papa avrebbe fatto visita in Calabria e quindi nella città di Catanzaro.

Con lo stesso affetto e severità paterna mi diffidò dal diffondere la notizia, pena far saltare l’intero programma, dal momento che, se c’è una Istituzione gelosissima delle proprie prerogative, questa è la Chiesa Cattolica e il rigidissimo protocollo imponeva che a darne notizia dovesse essere esclusivamente la Sala Stampa Vaticana. Ovviamente non stavo nella pelle e assicurai il più assoluto riserbo. Ma la cosa era troppo importante e irrefrenabile. Infatti in occasione della tradizionale conferenza stampa di inizio d’anno, ritenni che prima che la notizia venisse bruciata da uno dei tanti spifferi, che soffiano anche nei Palazzi ecclesiastici, era meglio che fossi io a dare la straordinaria notizia. Ovviamente la notizia deflagrò in tutta la Calabria e non dimenticherò mai il bonario rimprovero, frammisto a generosa comprensione della mia debolezza, da parte di Mons. Cantisani. Da quel momento iniziarono mesi di straordinaria e indimenticabile vicinanza al Grande Presule, che fu la vera anima dell’ indescrivibile successo di quello storico Evento.
Ma la Figura di Mons. Cantisani scandiva, incutendo generale rispetto, tutti gli eventi pubblici e religiosi di Catanzaro. Rivivo con immutata emozione e forse anche la stessa ansia le vigilie dei grandi appuntamenti pubblici, a conclusione della grande processione del Venerdì Santo con la Naca, a San Vitaliano, festa del Santo Patrono e l’8 dicembre in occasione del solenne giuramento del Sindaco della città nella Basilica dell’Immacolata, in cui l’Arcivescovo pronunciava il suo atteso discorso ai fedeli. Non credo di esagerare se affermo che in quegli anni questi appuntamenti travalicavano l’aspetto puramente religioso per diventare una grande occasione per saggiare lo stato di salute dell’Amministrazione Comunale, nella valutazione superiore del Capo della Chiesa locale.

E all’indomani dell’Omelia e per giorni si scatenava sulla stampa il dibattito “politico” tra maggioranza e opposizione, che “utilizzavano” gli accenti e le sfumature del discorso del Vescovo Cantisani a fini squisitamente di parte. Anche se devo dire, che nelle sue analisi lucidissime sul ruolo di Catanzaro, Mons. Cantisani è stato sempre generoso, prodigo di paterni consigli e di suggerimenti, ma rigoroso e irremovibile contro ogni ingiustizia e nella difesa dei poveri, dei più deboli e degli ultimi. Le sue parole, rimarranno per sempre delle pietre miliari e riuscivano a scuotere gli animi e davano speranza, quando la speranza sembrava perduta, alla sua amata Catanzaro. Mai un’invasione di campo, ma sempre un appassionato e rigoroso richiamo ai doveri del cristiano anche nella gestione della cosa pubblica. La sua visione del ruolo dei cattolici nella complessità della vita sociale e politica, la sua idea di Chiesa nei passaggi difficili e nelle sfide della modernità, ma anche delle diversità e delle sperequazioni tra Nord e Sud del Mondo, costituiscono punti di riferimento con cui non solo la Chiesa dovrà misurarsi oggi e nel futuro. E danno la cifra di un grande intellettuale moderno, capace di declinare in modo straordinario e convincente Fede e ragione, nel dialogo proficuo tra Chiesa e mondo laico. Assai vicino al carisma di Giovanni Paolo II e, per certi versi, anticipatore della Chiesa di Francesco.

Antonio Cantisani è stato, forse sopratutto, un grande storico e uomo dalla cultura ampia e plurale. I suoi scritti sulla storia dei “Vescovi a Catanzaro” tra il XV e il XVVII secolo costituiscono un’opera letteraria e di ricerca di altissimo livello storico e documentale, in cui viene ricostruita con l’acutezza e la precisione dello studioso di razza e con la sensibilità artistica del grande ritrattista, la vita ecclesiale e civile di oltre 400 anni perfettamente incastonati negli eventi storici della città di Catanzaro, ma anche della Calabria e dell’intero Paese.
Ricordo con emozione che Mons. Cantisani mi diede il grande privilegio di presentare l’ultimo suo lavoro assieme ad altri illustri relatori. Anche in quella circostanza il “nostro” Arcivescovo Emerito riuscì ad incantare la platea, attraverso una ricostruzione delle vicende calabresi, durante “la lunga notte del Viceregno” che avrebbe fatto la felicità intellettuale di uno storico come Augusto Placanica, anche per la straordinaria capacità di Cantisani di intrecciare i filamenti più sottili che legano la piccola storia locale alla grande storia delle Nazioni, secondo la migliore lezione di Benedetto Croce.
Mi sono raccolto in preghiera davanti al Suo corpo disteso e rasserenato di Uomo Giusto, nella triste camera ardente composta nel salotto del modesto appartamento nel vecchio Seminario Arcivescovile, sotto una grande foto che lo ritrae mentre Giovanni Paolo II gli parla affettuosamente, con la mano destra del Santo sulla spalla sinistra del nostro Monsignore, durante la storica visita papale a Catanzaro.
All’uscita, ancora incredulo, incontro una coppia di amici che sta per rendere omaggio alle spoglie mortali di Antonio Cantisani. Lei sussurra a mezza voce: “Era la nostra Chiesa”.