Personaggi e storie della “Catanzaro d’altri tempi” di Domenico Pittelli

Omaggio ad un eccellente scrittore che molto ha amato la sua città

Più informazioni su

La “Catanzaro d’altri tempi” rivive tuttora e i segni indelebili del tempo non sembrano essere trascorsi. Quelle foto in bianco e nero d’epoca, tracciano ciò che ora non è più, tuttavia “l’anima” della città ne percorre ancora le strade, i vicoli e alcuni “personaggi” che hanno fatto vivere parti di essa, mai tramonteranno. Quel vissuto cittadino ha ispirato diverse e importanti “penne”, come non ricordare il Patari o la De Lorenzis e ancora esimi poeti che ne hanno raccontato le diverse sfumature. La “Catanzaro d’altri tempi” ha dunque visto numerosi scrittori interessarsi a lei e fra questi non è certo da dimenticare Domenico Pittelli (1909-1996) che, rinnovando in un suo libro il medesimo titolo (“Catanzaro d’altri tempi” a cura dell’Ente Provinciale di Catanzaro 1982), ne ha tratto una “fotografia” perfetta, con usi, tradizioni, personaggi, storie, ricordando anche particolari parole dialettali, di cui alcune poco conosciute. E’ un viaggio nella “vecchia” Catanzaro, ciò che propone Pittelli, ne percorre le strade, pone in evidenza quella parte “popolana” sempre molto rappresentativa, scende nella sua “Marina” descrivendone la stagione estiva, ma non manca di raccontare il “centro storico”, la Villa Margherita, i “Circoli”, ritrovo della nobiltà catanzarese, ricordando, inoltre, le più svariate professioni artigianali oramai scomparse. Ed è in questo “grande” panorama che egli racconta e descrive “avvenimenti” e “personaggi” con quel vento di ricordi che travolge e fa tornare indietro nel passato e, anche per chi non ne ha mai vissuto il contesto, rappresenta una fonte di curiosità nell’apprendere le dinamiche trascorse della città. Delle brevi storie che egli narra ne descrive accuratamente i personaggi ed è con loro che sembra quasi di assistere ad una commedia la cui trama non è altro che quel vissuto giornaliero mirabilmente da lui delineato.

LA SIGNORA E LO STUDENTE. Con “La signora e lo studente”, dipinge un tratto di vita quotidiana della nobiltà catanzarese, includendo anche quella parte “ilare” dell’accaduto, che nei tempi che furono rappresentò quasi un affronto per chi ne subì gli effetti. “Donna B. era una delle gentildonne più note della vecchia Catanzaro – scrive Pittelli – formosa, alta, di una bellezza classica, elegante, con un seno prorompente, che metteva in mostra con abbondanti scollature e di cui andava fiera, di condotta irreprensibile e fedelissima al marito, appartenente all’alta borghesia: un ometto bassotto e robustello, che si trascinava sempre appresso un cane (i malevoli dicevano che era il cane che trascinava lui) che era oltremodo fiero e orgoglioso della consorte che conduceva al braccio – quasi arrampicandosi un po’, data la differenza di altezza, per cui si diceva che formavano l’articolo “il”- con la sinistra teneva il guinzaglio del cane e al braccio l’immancabile bastone di ebano con manico d’argento”. Si è voluto riportare per intero questa parte di “presentazione” per meglio “gustare” e conoscere i personaggi del particolare episodio che di seguito si andrà a raccontare. In effetti per chiudere il cerchio manca il terzo protagonista che fu causa del particolare clamore. Un tal B.F., come scrive Pittelli, giovane studente originario di un paese di provincia e figlio di un ricco notabile, dedito più al divertimento che allo studio, aveva un particolare debole per l’avvenente signora nemmeno preoccupandosi di nasconderlo, tuttavia era ben conscio di non avere alcuna possibilità, conoscendo l’integrità morale della signora in questione. Un giorno, la coppia di sposi si era diretta nel giardino pubblico della città, Villa Margherita, per assistere all’inaugurazione del “busto” di Andrea Cefaly. I due si fermarono nel luogo della cerimonia insieme ad una gran folla, fra cui anche un gruppo di studenti e lo stesso B.F. che, notata la coppia, vi si avvicinò senza alcuna remora. La signora, anche quel giorno sfoggiava una particolare scollatura che tutto faceva presupporre ai presenti ma non di certo l’irruenza del giovane studente che ben pensò di avvicinarsi e schioccare un fragoroso bacio sul petto della giovane nobildonna. Ciò che accadde di seguito si può certamente immaginare, fra il marito adiratissimo e l’intera folla che si era praticamente divisa in due fazioni: coloro che indignati gridarono “allo scandalo” e coloro che trovarono la scena particolarmente “ilare”, ridendo di gran gusto. Il giovane venne addirittura condotto in Commissariato, ma successivamente rilasciato, tuttavia in città la scena non venne mai dimenticata. Pittelli racconta l’episodio in maniera briosa, quasi facendone rivivere l’immaginario contesto con la perfetta descrizione dei personaggi. Ed è di altri personaggi che il libro si compone, fra i quali se ne vorrà ricordare qualcuno.

‘A SIGNORA SCISCI’. Ancora una volta Pittelli “entra” nel personaggio descrivendone ogni sua peculiarità. Ma andiamo ai fatti che chiariranno come la signora di cui si parlerà, venne denominata “ ‘a signora Sciscì”. Non originaria di Catanzaro, ma dell’alto settentrione, la signora insegnava in città e quando fu il tempo del suo pensionamento con tanto di “medaglia d’oro”, decise di rimanervi. La maestra era solita indossare particolari cappellini che aveva cura di intonare al suo cappotto o alla pelliccia di “imitazione leopardo”, sempre apparendo ben curata nella persona. A differenza di tanti forestieri che dopo lungo tempo in città ne assimilano il dialetto, la signora aveva mantenuto la cadenza milanese, parlando sempre in italiano e calcando in modo particolare il “si” che diventava “sci”. C’è da dire che da Napoli in giù – scrive Pittelli – c’era l’usanza di indicare con l’espressione “è ‘nu” o anche” ’na sciscì” le persone provenienti dal nord ed è per tale motivazione che la “povera” signora ogni qualvolta la si vedeva per strada veniva così appellata. “Signora Sciscì” veniva dunque chiamata in modo canzonatorio da ragazzi che la inseguivano per strada e susseguentemente anche da adulti che non mancavano di deriderla. La reazione della malcapitata non tardò ad arrivare, prima redarguendo in maniera pacata chi la sbeffeggiava, susseguentemente (quando l’arteriosclerosi avanzò) perdendo il controllo e appellandoli con epiteti non troppo consoni alla sua persona. Pochi erano coloro che intervenivano, tanto che la situazione si rinnovò nel tempo, portando l’anziana maestra sull’orlo della “follia”. Solo l’avvenuta morte pose fine a questo suo disagio. In tanti andarono ai suoi funerali come elogio alla sua persona, esigua consolazione per chi come lei aveva speso tanti anni di sacrifici per il suo lavoro. Fu così che la soprannominata “signora Sciscì” non venne più vista per le strade di Catanzaro.

FIORINA: ‘A REGINA D’E COCULI. Di queste “brevi pillole”, rivolte a personaggi della città che Pittelli descrive, non manca quella parte dedicata al “popolo”, molto determinante per la vita cittadina che si svolgeva in svariati luoghi, uno dei quali erano proprio i “Coculi”, il “clou” del centro storico. Questa parte della città brulicava di mercanti, venditori, acquirenti, ma era comunque composta anche da chi giornalmente frequentava la zona per le più svariate motivazioni. La signora “Fiorina” ne era considerata la “regina”. Ma vediamo il perché. “Fiorina – racconta Pitelli – una donna formosa e di aspetto simpatico, madre di numerosi figli che, seguendo le laboriosità dei genitori, raggiunsero una buona situazione economica, divenne la più famosa preparatrice non solo di ogni genere di “morseddhi”, di “dijuneddhi”, di trippa di maiale….”, e poi ancora scrive “…..il suo locale era sempre affollatissimo dalle prime ore del mattino fino a sera; era a pochi passi da piazza Grimaldi, in uno dei due vicoli che portano ai “Coculi”….”. La sua fervente attività venne svolta finché un po’ per l’età, un po’ perché i figli avevano scelto altre attività, cedette il suo locale. Malgrado ciò non si fermò e continuò a lavorare realizzando le provviste per la casa, recandosi di persona nelle famiglie e realizzando quanto le veniva richiesto portando sempre con sé la tradizionale “coddhara” e i suoi fornelli a carbone. Il ricordo di “Fiorina” restò veramente indelebile e sempre tornò alla mente come “’a regina d’e i Coculi” per il suo intramontabile “morzeddhu”.

Domenico Pittelli, descrive quel “mondo che ci sta alle spalle” con estrema maestria, pone in evidenza quelle tradizioni da lui sempre apprezzate, quasi ne ricama i personaggi nei quali si ritrova ogni valore della “vecchia” Catanzaro, traducendo le storie in un romanzo da leggere e da ammirare nella sua completa bellezza. Tutto ciò che è stato riportato e da lui narrato nel suo “Catanzaro d’altri tempi”, é da ritenersi idealmente un “omaggio” ad un eccellente scrittore che molto ha amato la sua città.

Più informazioni su