Boccassini su “Ultimo”: “Da anni non lo condivido, per non parlare della decisione di entrare nella Giunta regionale calabrese”

C'è tanta Calabria nel libro del magistrato milanese

“Ultimo era un’anomalia all’interno dell’Arma quanto lo ero io rispetto alla magistratura, ma non ho mai conosciuto nella mia lunga carriera una persona che sentisse così profondamente l’essere carabiniere. Ed era anche bravissimo, acuto conoscitore del fenomeno mafioso, brillante e tenebroso allo stesso tempo. Era, per giunta, un fan sfegatato di Falcone, tanto da ottenere di essere nuovamente trasferito in Sicilia quando Giovanni fu ucciso. Non vedo Sergio De Caprio da molto, preferisco ricordarlo com’era ai tempi della nostra collaborazione. Da anni non condivido le sue prese di posizione, i contenuti delle sue interviste, per non parlare – anche se si è dimesso dall’Arma – della sua decisione di entrare nella Giunta regionale calabrese”.

C’è molta Calabria nel libro “La stanza numero 30” di Ilda Boccassini, il magistrato milanese che con le sue inchieste ha inevitabilmente incontrato anche i legami lombardi con la malavita Calabrese.

E ci sono molti personaggi calabresi.

Uno di questi è l’assessore regionale all’ambiente Sergio di Caprio, meglio noto come Capitano Ultimo. Nel paragrafo precedente Ilda Boccassini parla del recente passato dell’ufficiale dei carabinieri.

Di lui all’inizio, nello stesso capitolo in cui la Boccassini parla del suo primo incontro con  per Giovanni Falcone, dice:

Quando Capitano Ultimo mi chiamava con nome in codice Nikita

“In quello stesso periodo fu trasferito a Milano dalla Sicilia un giovane tenente dell’Arma dei carabinieri: Sergio De Caprio, nome in codice Ultimo. Vestito come un punk, i capelli raccolti in un codino e il viso da quindicenne, quando venne a presentarsi dissi al suo comandante: “Che dobbiamo farci con questo ragazzino?”.
Dovetti accorgermi ben presto che quella mia prima impressione era stata precipitosa e sbagliata. Cominciammo a collaborare e ne nacquero indagini importanti come la “Duomo connection”, che per la prima volta avrebbe dimostrato i collegamenti tra Palermo e le attività economiche (legali e illegali) di Cosa nostra in Lombardia. Ultimo affibbiò a tutti gli uomini della sua squadra, e anche a me, un nome in codice: il mio era Nikita. Fu un periodo esaltante, di riunioni che duravano fino a notte inoltrata per confrontarci, elaborare strategie, condividere analisi della situazione man mano che le indagini evolvevano, individuare obiettivi sensibili”

(Il testo è tratto dal Capitolo 4 del libro La stanza numero 30 di Ilda Boccassini. La foto della copertina del libro è tratta dal sito ufficiale Feltrinelli editore)