Parco Romani, ecco perchè nessuno pagherà più per quella ferita di cemento bianco ancora aperta per la città

La sentenza di assoluzione nei confronti di Olivo, Cantisani, Elia diventa definitiva come le altre. E di quella vicenda resta solo l'ecomostro alla periferia della città

Tedesco, Flecca e Gennaro, sono i tre giudici che lo scorso mese di luglio hanno depositato le motivazioni della sentenza, pronunciata ad Aprile,  che ha portato all’assoluzione dei protagonisti dell’eterna vicenda Parco Romani. Sentenza diventata definitiva a settembre perchè non è stato presentato appello.

Sette anni ed in mezzo la morte di quell’imprenditore, Gaetano Romani, che tra le altre cose e vicende accadute dall’inizio degli anni ’90 attorno al complesso, rimase impigliato nelle maglie di una burocrazia che ancora a distanza di 30 anni non è riuscita a trovare una soluzione definitiva per quella balena bianca di cemento spiaggiata nell’immediata periferia della città.

Oltre trenta imputati tra amministratori pubblici e imprenditori, tutti, a vario titolo assolti.

Fu davvero nell’interesse pubblico l’agire politico?

E i giudici lo scrivono, che il procedimento sul quale hanno deciso, prende l’avvio da un più ampio procedimento che riguarda proprio l’attività amministrativa del Comune. “Le questioni giuridiche – scrivono infatti i giudici – che si agitano all’interno del fatto storico più ampio, inducono a riflettere sulla correttezza dell’agire amministrativo e sulle opportunità delle scelte politiche compiute per perseguire l’interesse pubblico”.

Il deserto probatorio

E’ innegabile, dice ancora il collegio, che vi sia stato  un “deserto probatorio”  in cui il Tribunale si ritrova e che ha dovuto affrontare per emettere  la sentenza di assoluzione nei confronti di  Rosario Olivo (difeso da Nicola Cantafora), ex sindaco del capoluogo dal 2006 al 2011, Biagio Cantisani (difeso da Carlo Petitto), ex dirigente del Comune di Catanzaro e presidente dell’Ordine degli architetti, Giulio Elia (difeso da Antonio Lomonaco), ex consigliere comunale di Catanzaro e presidente della Commissione urbanistica dell’Ente. I  giudici, nelle oltre 50 pagine,  hanno spiegato perché l’impianto probatorio iniziato a costruirsi nel 2012 non trova l’appoggio sull’elemento più importante di un processo, più del clamore mediatico, delle pagine dei quotidiani: la prova. La grande assente di uno dei processi più importanti della storia della città, quantomeno per valore economico dell’opera e del finanziamento (5 milioni di euro), somme sequestrate, numero di indagati e profili degli imputati: professionisti e politici, i famosi colletti bianchi.

Gli investigatori nelle informative lo avevo chiamato “Parco dei Miracoli” ma Parco Romani e le opere iniziate e mai finite che c’erano intorno , sono stati solo una grande bolla. Oltre 30 indagati, un morto e nessun colpevole (altri sono stati già assolti dalla Corte d’Appello nel 2016). 

 

Nell’ultimo troncone la Procura di Catanzaro per Cantisani, Olivo aveva chiesto il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione (puntando, così, sulla responsabilità penale ma riconoscendo la prescrizione) , mentre la condanna a 2anni e 8 mesi per Elia (essendo il reato non ancora prescritto). I giudici hanno dato ragione agli imputati: assoluzione perché il fatto non sussiste. La sentenza non è stata impugnata, per cui la decisione è definitiva dallo scorso settembre. Il processo che ha registrato la revoca di tutti i testimoni della difesa dopo l’esaurimento delle audizioni quelli dell’accusa. Un sintomo di come la prova faticasse ad essere dimostrata.

Le accuse a Rosario Olivo

All’ex primo cittadino dal 2006 al 2011 sono dedicate poche righe, tanto basta per spolverare via qualsiasi ipotesi d’incolpazione. “La contestata sovrastima delle quote immobiliari, non può essere imputata al sindaco quale organo politico. Del resto, il primo cittadino, concordemente al resto del Consiglio, ha fondato il suo voto positivo su pareri tecnici che ne garantivano la congruità”.

Le accuse a Biagio Cantisani

“Appare, dunque, assolutamente plausibile e motivato da ragioni contingenti l’esistenza di una copiosa corrispondenza tra Cantisani, quale RUP della Catanzaro 2000 e l’ente ministeriale, atteso che le problematiche connesse alla sospensione del finanziamento erano proprio da ricercare in difetti di documentazione riconducibile al predetto consorzio. Parimenti nel corso dell’istruttoria è emerso in modo inconfutabile l’esistenza di uno stallo programmatico ed operativo tale per cui si è reso necessario addivenire ad una presa di posizione rispetto al pericolo di perdita definitiva del finanziamento. Tale situazione, dunque, ha certamente agevolato la maturazione di un’idea politica finalizzata ad individuare una nuova localizzazione dell’opera, da collocare in una struttura già esistente, nel tentativo di valorizzare il territorio, peraltro anche coinvolgendo gli imprenditori locali. In tal senso appare immune da censure, sia di ordine giuridico e sia di ordine etico, la scelta di convocare un tavolo di concertazione tra il soggetto attuatore e beneficiario del finanziamento (la Catanzaro servizi), il soggetto operativo (la Catanzaro 2000), il Comune e le diverse parti sociali (i sindacati, la Camera di Commercio, i responsabili dei settori finanziari del Comune). Ciò premesso, la circostanza, pacificamente emersa nel corso dell’istruttoria, che la convocazione del predetto tavolo è imputabile Cantisani a parere del collegio non solo è inidonea a colorare “in senso negativo” la condotta dello stesso, ma deve essere raccordata con le ulteriori emergenze probatorie, afferenti alle modalità di svolgimento dell’incontro”. Scopo dell’architetto sarebbe stato, dunque, di non disperdere i fondi ministeriali. Circostanza confermata anche più in là nella sentenza, quando si ricordano le numerose note inviate dall’architetto al fine di ottenere lumi sull’andamento del finanziamento, e non per creare una specifica condotta artificiosa per l’ottenimento dell’anticipazione del finanziamento. Cantisani era accusato anche di aver affidato un incarico ad un architetto per il progetto della cosìddetta “Fabbrica Della Creatività”, “distruggendo la relativa delibera cartacea al fine di occultare l’intera procedura”. Durante l’istruttoria dibattimentale durata 25 udienze, nessun elemento a riguardo è uscito fuori. E non solo, perché “non pare sussistente alcun tipo di correlazione tra la vicenda relativa all’ente fiera del catanzarese e l’assegnato incarico professionale”

Le accuse a Giulio Elia

L’ultima parte della sentenza è dedicata al consigliere comunale difeso dall’avvocato Antonio Lomonaco.  Il quale ha rinunciato alla prescrizione ottenendo così l’assoluzione piena. Per l’accusa  avrebbe indotto, abusando delle sue qualità, Gaetano Romani ad alienare ai suoi prossimi congiunti alcuni cespiti immobiliari ubicati all’interno del Parco Romani, ad un prezzo inferiore a quello di mercato. E quindi per ottenere i predetti immobili ad un prezzo di comodo, in cambio del voto favorevole in consiglio sulla delibera (n. 74 del 2008), con la quale veniva vagliata la proposta di permuta avanzata dalla ditta individuale Romani per ottemperare al proprio debito con l’ente locale, e sulla quale Elia ha effettivamente espresso un giudizio positivo.

Dal processo però non è emersa la prova sulla sussistenza di condotte propedeutiche all’ottenimento di un indebito vantaggio patrimoniale: non è stata dimostrata la circostanza che l’imputato avrebbe indotto Romani a dargli un vantaggio in cambio del proprio voto favorevole in Consiglio.

E pur ammettendo che Elia possa aver avuto un interesse a Parco Romani,  “la diversa metratura degli appartamenti acquistati, la acclarata necessità di cedere i cespiti al fine di rientrare dall’iniziale investimento, il tutto confortato dall’assenza di accertamenti peritali in ordine alle fluttuazioni del mercato immobiliare in quegli anni, consente di dover ritenere non provata alcuna forma di condotta induttiva in capo ad Elia nè il vantaggio patrimoniale imposto da entrambe le contestate fattispecie”.