Assolto ma i suoi beni ancora confiscati, si incatena davanti al palazzo di giustizia di Catanzaro
La vicenda paradossale di Francesco Quattrone scaturisce dall’inchiesta Entourage della Dda di Reggio Calabria del 2010
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Incatenato davanti alla procura di Catanzaro chiede che gli vengano restituiti dallo Stato i beni sequestrati in seguito all’accusa per associazione mafiosa che lo stesso Stato ha riconosciuto insussistente. Questa in soldoni la storia di “Francesco Quattrone Gregorio, imprenditore ristorativo di Reggio Calabria – così lui stesso di nomina e si qualifica – qui incatenato perché è andata definitiva la confisca dei beni frutto del lavoro mio e della mia famiglia per quarant’anni e venti ore al giorno”.
Sotto il sole cocente, rincantucciato in uno spicchio d’ombra del palazzo di giustizia che allontana i raggi ma poco può contro la calura, Quattrone racconta la sua storia. O meglio la parte della sua storia di vita che inizia dal 2010 quando una mattina gli agenti lo arrestano “inserendomi in un’associazione mafiosa – continua – nell’ambito dell’operazione “Entourage”. Sono rimasto in carcere per diciotto giorni, dopodiché ne sono uscito per mancanza di gravi indizi di colpevolezza. Mentre per il reato specifico di associazione vengo assolto in primo grado nel 2020 con la formula più ampia, perché il fatto non sussiste, su richiesta della stessa procura, scatta in automatico il sequestro dei beni. Arrivano (gli agenti, ndr) e mi sequestrano immobili e attività, i conti correnti anche se in rosso, mi hanno lasciato con 372 euro in tasca e mi hanno detto quasi ironicamente ‘da oggi riparti con questi’.
Il primo grado conferma il sequestro e applicano la confisca dei nei, l’Appello conferma, la Cassazione rigetta il ricorso perché inammissibile. La confisca è definitiva, siamo nel 2015”.
I due procedimenti, quello specifico per associazione mafiosa e quello di confisca dei beni, pur interessando la stessa persona e scaturenti ambedue dallo stesso fatto, seguono due percorsi giudiziari tra loro indipendenti. Quattrone è assolto nel 2015 dal primo reato, subisce la condanna definitiva sulla confisca dei beni. Per riaprire il caso occorre intraprendere la difficile strada della revisione della sentenza definitiva, in questo caso per il rinvenimento di nuove prove dopo la condanna, che possano essere decisive per provare l’innocenza del condannato. Nel 2017 Quattrone trova “delle agende, con tutti gli appunti con i lavori di ristorazione che ho eseguito dal 1985 fino al 2012, con nomi e cognomi degli ordinanti i banchetti -questo per provare la provenienza non illecita del patrimonio, ndr – le cerimonie e i luoghi di svolgimento. Ho così potuto riaprire il caso, grazie a nuovi avvocati, e la revisione del processo si è svolto qui a Catanzaro. Dopo un paleggiamento di competenza tra Catanzaro e Reggio la Cassazione decide che il processo si svolga a Catanzaro.
Nel processo mi si chiede come mai le agende le abbia trovate dopo tanto tempo. Se le avessi trovate prima, le avrei mostrate prima, e comunque sono sempre ammissibili. Mi si contesta che le agende chiunque le può scrivere in qualsiasi momento. Anche con l’elenco dettagliato di tutti gli assegni versati in banca, anno dopo anno? Provassero loro a farlo, se ci riescono… Dovevano essere loro a provare che fossero false, non io a sostenere la verità sulle stesse”.
“Chiedo la buona giustizia – dice per ultimo Francesco Quattrone – quando qui siamo difronte a una malissima giustizia. Sono nonostante tutto fiducioso, credo nella buona giustizia anche se sono costretto a costatare che in qualche modo si sta facendo accoppare da quella cattiva. Non voglio i beni, voglio la giustizia. Il resto avverrà di conseguenza”.
Con la confisca i beni sono dello Stato. Per Quattrone, e perché i beni possano ritornare a lui, ci sarebbe l’approdo alla Corte europea dei diritti. L’imprenditore di Gallina l’ha pure tentata, già da sette anni. Ma occorrono soldi che non ha. “Non ho i soldi neanche per comprare le merendine ai miei nipoti. Se chiedo le licenze per poter lavorare, mi vengono respinte con la dicitura ‘al curatore’. Perlomeno questo…non so cosa fare più”.
Quattrone, alla fine di questa mattinata dimostrativa e rivendicativa per una buona giustizia, accompagnato dall’amico che non lo lascia mai solo in questa sua personale vicenda, raccoglie cartello, catene e bottiglietta d’acqua e ritorna alla sua Gallina.