Migranti a Catanzaro, la vicinanza di monsignor Maniago in visita al “PalaGallo”

L'arcivescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace ha voluto portare di persona il proprio messaggio di solidarietà

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Ha voluto dimostrare fisicamente la propria vicinanza, portando un messaggio di speranza e accoglienza, recandosi personalmente in visita al PalaGallo, la struttura sportiva nel quartiere Corvo che ospita i migranti sbarcati nel porto di Catanzaro, mercoledì mattina.

Megafono in mano, affiancato da una mediatrice culturale e madrelingua, l’arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace, monsignor Claudio Maniago, è arrivato da poco.

“Gli uomini e le donne che vivono nella Città si sentono stranieri in quella Città che pure abitano fisicamente, se non trovano nell’intimo suo, nel suo “cuore”, le loro radici. Tutti, nella Città, abbiamo bisogno di “sentirci a casa”! “A casa nostra”, aveva esclamato solo poche settimane fa nel corso dell’omelia pronunciata in occasione della festa di San Vitaliano.

E la presenza tra i migranti ha voluto essere una ulteriore testimonianza della vicinanza della Diocesi, e la gioia per il fatto che la Città tutta “ha risposto con una gara di solidarietà alla richiesta di aiuto di questi fratelli, i quali, dopo giorni di viaggio in mare, privi di tutto il necessario e al limite di condizioni dignitose, hanno ricevuto accoglienza”.

 L’arcivescovo ha salutato e ringraziato tutti gli operatori che stanno gestendo l’accoglienza, tra cui sanitari, forze dell’ordine, volontari e mediatori culturali.
“Un messaggio di forte speranza di fronte a un dramma, perché certamente si tratta di persone disperate alla ricerca della possibilità di sopravvivenza. Ma il messaggio più bello arriva dalla città che ha saputo reagire con grande spirito di accoglienza – ha detto ancora -. E’ buon segno, vuol dire che si può nutrire speranza. Ho detto ai migranti di sentirci vicino e ho dato loro la benedizione di Dio. Grazie alla mediatrice culturale, ho comunicato che stiamo vicino loro anche alla loro famiglia. Perché nel loro trauma c’è anche quello di vivere lontani dalle loro persone care. La nostra città e la nostra regione devono dimostrare di avere speranza e lo deve fare accogliendo chi sta peggio di noi”.

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