Estorsioni ad imprese di Catanzaro e quel “sub appaltatore” già indicato da Mirarchi come “sensibile” alle richieste

Ancora appalti inquinati da condizionamenti mafiosi al centro di una vasta indagine della Procura del capoluogo

Più informazioni su

“DI’ AL TUO CAPO CHE SI E’ DIMENTICATO DEGLI AMICI”. E’ stata questa l’espressione utilizzata da due degli indagai nell’ambito dell’operazione che oggi ha svelato un sistema di estorsioni perpetrato a danno di imprese operanti nel territorio di Vibo. L’ordinanza è stata emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, Maria Cristina Flesca su conforme richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, guidata dal Procuratore Nicola Gratteri, a carico di cinque soggetti nei cui confronti sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in relazione ad alcuni episodi estorsivi, aggravati dal metodo mafioso, commessi in Vibo Valentia fra il 2009 e il 2022, nel medesimo contesto altri sette soggetti sono indagati in stato di libertà.

(in basso la notizia dell’operazione)

Estorsioni a Vibo Valentia: 12 indagati, 5 colpiti da custodia cautelare in carcere

Imprese anche catanzaresi che nella fattispecie si stavano occupando della costruzione del nuovo ospedale e a cui furono bruciati anche dei mezzi.

L’impresa mandante denunciò le minacce ricevute per tramite di due operai di un’azienda sub appaltatrice e i responsabili oggi sono indagati per quelle condotte, ma il problema è proprio il collo d’imbuto che si forma quando, dal riferire delle minacce ricevute, bisogna passare al riconoscimento degli autori.

(In basso la notizia dei mezzi bruciati alle imprese)

Mezzi di una ditta catanzarese bruciati nel cantiere dell’ospedale di Vibo

L’estorsione alla ditta appaltatrice fatta per tramite del sub appaltatore, già indicato da Santino Mirarchi come “sensibile” alle richieste

Alcuni nomi, di imprenditori “sensibili” alle richieste di estorsione, sono gli stessi fatti da Santino Mirarchi nell’ambito dell’udienza Rinascita Scott. In particolare uno, quello di un n imprenditore che, secondo il collaboratore di giustizia, ogni volta che vince un appalto si fa trovare sul cantiere in attesa che “il capo” del luogo si presenti o mandi qualcuno dei suoi per concordare “il dovuto”.

(IN basso la notizia sulle parole del collaboratore di giustizia Santino Mirarchi)

Mirarchi racconta “il sistema” di assegnazione degli appalti. Nessun imprenditore è “solo” vittima

 

Questa volta però lo stesso imprenditore, i cui operai hanno ricevuto le richieste, è sub appaltatore di una parte dei lavori dell’ospedale di Vibo.

Riferisce al titolare della ditta mandante delle richieste ricevute da soggetti che, scrive il giudice “con minaccia implicita, avvalendosi della forza d’intimidazione promanante dal vincolo associativo reso noto e fatto percepire alla persona, offesa, consistente, in particolare, nel porsi come referenti della cosca di ’ndrangheta di Vibo Valentia, capace di garantire la tranquillità e la tutela della ditta, in modo che la pretesa venisse percepita come proveniente da una sfera plurisoggettiva riconducibile alla compagine associativa di ‘ndrangheta e perciò idonea a ingenerare il timore e lo stato di prostrazione nelle vittime tale da coartarne la libertà di autodeterminazione, stante l’ impossibilità di resistere alla richiesta se non mediante la rinuncia alla realizzazione dei lavori; compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere l’imprenditore (destinatario indiretto della richiesta estorsiva, quale titolare della., società subappaltatrice dei lavori con riguardo alla fornitura del calcestruzzo preconfezionato) a corrispondergli non meglio definite quantità di denaro senza altra causa o giustificazione che non fosse l’ubicazione del cantiere in un territorio sottoposto al controllo della criminalità organizzata, con corrispondente indebito profitto per sé e per la cosca Pardea-Ranisi”.

Gli operai prima riferiscono al loro titolare sub appaltatore poi però “fingono” di non riconoscere gli autori della minaccia e l’intenzione di non collaborare

Il problema sorge quando gli operai, che hanno riferito della richiesta estorsiva al loro titolare sub appaltatore che a sua volta l’ha riferita all’imprenditore appaltante che ha denunciato, devono riconoscere gli autori.

Uno dei due infatti conversando con il collega lasciava intendere che non avrebbe collaborato con l’Autorità Giudiziaria e che, in tal modo, avrebbe riparato all’errore commesso in precedenza allorquando, unitamente ad un altro collega  aveva proceduto al riconoscimento dell’autore della condotta delittuosa presso la caserma della Guardia di Finanza di Vibo palesando, peraltro, che nell’occasione il personale del Corpo lo avrebbe informato sulle sue eventuali responsabilità in caso di dichiarazioni mendaci

Le parole impaurite di uno degli operai ed il mancato riconoscimento degli estortori

“Me ne fatto di loro!… È una cazzata che abbiamo fatto allora! Per me era un taxi., alla caserma mi hanno minacciato di favoreggiamento! Che mento… Il maresciallo stesso “ti denuncio per favoreggiamento!” A me sii ho detto? Io che mi alzo la mattina alle cinque e mi vengo a rompere il culo, tu mi dici che mi denunci per favoreggiamento? Su quale cosa? Su quali prove sii ho detto! Vediamo? La gente non collabora! Io non collaboro? Mi avete già rotto le scatole sii ho detto!’.

Il riconoscimento quindi va come previsto. Gli operai della ditta, convocati negli uffici della Questura di  Catanzaro per effettuare la ricognizione , scrive il giudice “ostentavano assoluta certezza in ordine al fatto che tra i soggetti ivi presenti non vi fosse l’autore della minaccia, dichiarando: “non sono in grado in alcun modo di riconoscere tra le persone visionate la persona che mi aveva avvicinato”.

La rabbia del sub appaltatore nei confronti dell’imprenditore che ha denunciato

Durante il viaggio di rientro dal Centro Polifunzionale della Polizia di Stato il loro titolare dialogando con i due dipendenti, si lasciava andare ad esternazioni sul conto dell’imprenditore appaltante che aveva denunciato l’episodio  e ne stigmatizzava il comportamento in quanto, a suo dire, si sarebbe accordato con personaggi appartenenti alla criminalità organizzata locale che gli avrebbero garantito tranquillità e la possibilità di lasciare i mezzi di lavoro incustoditi in cambio della dazione di una “tangente” “ha fatto il furbo(…) Quel (…) ha fatto il porco là a Vibo(…). Secondo me lui, invece, ha dato qualche cosa là a qualcun altro che no.., sennò i mezzi là glieli facevano saltare… glieli bruciavano!

 

Più informazioni su