L’omicidio d’identità al vaglio del Senato

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    L’omicidio più efferato potrebbe diventare ben presto reato, a seguito dell’approvazione del disegno di legge, ora giunto all’esame del Senato, che contempla l’introduzione, nel codice penale, dell’art. 557-bis, rubricato “Omicidio d’identità”:

    In particolare, in base alla predetta norma,  “Chiunque, volontariamente, cagiona al volto di una persona danni parziali o totali, tali da modificare le caratteristiche dello stesso è punito con la reclusione non inferiore ad anni dodici.».

    Il predetto disegno di legge, con l’inserimento, nel codice penale, dell’articolo 577-ter, intende garantire l’inasprimento della pena, da un terzo alla metà, se i fatti di cui all’articolo 577-bis sono commessi dall’ascendente o dal discendente, dal coniuge, anche legalmente separato, dalla parte dell’unione civile o da persona legata alla persona offesa da relazione affettiva o con essa stabilmente convivente.

    L’omicidio d’identità comporta, inoltre, l’applicazione delle seguenti pene accessorie, formulate nel successivo articolo 577-quater:

    1)      L’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno;

    2)      la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa;

    3)      la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte.

    La creazione della descritta fattispecie di reato, determinata da noti e recenti fatti di cronaca, ha dato origine a due contrapposti orientamenti tra coloro che assegnano alla medesima la funzione di deterrente e coloro che la ritengono una superflua previsione normativa, stante l’esistenza, nel codice penale, di aggravanti applicabili al reato di lesioni personali.

    Al di là di ogni possibile considerazione, un dato sembra certo: il valore intrinseco di un’autonoma previsione del reato di “omicidio d’identità”, ossia la comprensione e la considerazione che la cancellazione della propria identità è il peggiore degli affronti.

    Anche la cultura giuridica sembra, dunque, orientata a considerare che esistono due tipi di omicidio, attuabili con variabili modalità: l’omicidio in senso fisico, già punito dal codice penale, e quello in senso psicologico, di nuovo conio, che rimanda al concetto d’identità.

    L’identità, in psicologia, è la consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre.

    L’omicidio d’identità, dunque, distrugge la percezione di se stessi come persona connotata da determinate caratteristiche, che rendono ognuno differente ed unico rispetto agli altri.

    Secondo i firmatari del disegno di legge, “Il volto, infatti, non è una parte qualsiasi del nostro corpo, ma è la “porta di comunicazione” tra il nostro “io” e la società. Non solo, il nostro volto corrisponde anche alla caratterizzazione che ognuno di noi ha e dà di se stesso o di se stessa. Potremmo dire, suffragati dagli studi di Bassi o di Goddek, che sulla pelle del nostro viso è scritta la nostra storia, la nostra identità, familiarità e provenienza, persino le trasformazioni che abbiamo vissuto nel nostro percorso di vita. Dunque, il volto distrutto e volutamente sfregiato per sempre ha il valore di una morte civile,  inferta con inaudito cinismo e frutto o causa, sopra ogni cosa, della volontà violenta  di restare unici padroni della bellezza, dell’io profondo della vittima che si sarebbe voluta possedere. Un odio e una ferocia tale da richiedere una rubricazione normativa diversa dalla lesione grave o gravissima subita in qualunque altre parte del corpo umano. Non perché, ovviamente, non sia grave ogni atto lesivo di una persona, ma perché lo sfregio del volto va ad incidere profondamente sull’identità fisica, sociale e psicologica. Al pesantissimo danno fisico, quindi, è necessario sommare il danno psicologico di non potersi più riconoscere nel proprio volto e il danno sociale nel non vedersi riconosciuti dagli altri”.

    Degna di attenzione è, peraltro, la valutazione, quale aggravante, della relazione affettiva con la vittima.

    E’, tuttavia, evidente la portata limitata della nuova previsione legislativa, poiché la medesima non tutela una serie infinita di casi, che pure potrebbero considerarsi “omicidio d’identità”.

    L’identità delle donne vittime di stupro e dei bambini abusati non viene forse cancellata dai loro carnefici? E, ancora, il suicidio di una ragazzina, conseguente alla divulgazione di video hot, di cui è parte, non può essere considerato, innanzitutto, un omicidio d’identità? E, in estrema analisi, gli abusi fisici o psicologici, i tradimenti  e l’indifferenza che, sovente, caratterizzano le relazioni affettive non potrebbero costituire, in alcuni casi, degli omicidi d’identità?

    Sono molte le storie, note o anonime, di persone ferite nella loro dignità di esseri umani. Alcune di queste, hanno capovolto la loro vita, rinascendo, con forza, dalle loro ceneri; altre, più vulnerabili o indifese, sono rimaste vittime dell’attacco inferto.

    Il disegno di legge sembra trascurare molte situazioni che determinano una perdita o una lesione della propria identità.

    E’ riduttivo pensare che soltanto la deturpazione del volto, atto di estrema gravità e ferocia, possa causare danni irreversibili.

    A parere di chi scrive, ogni azione umana, se provoca la frammentazione o l’  annullamento dell’identità di una persona, merita di essere stigmatizzata dal legislatore, pur con la consapevolezza della necessità di un’educazione e di un cambiamento culturale, improntati al rispetto dell’essere umano, perché per essere grandi uomini è necessario preservare la dignità altrui.

     

     

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