Italiani, popolo di meteopatici

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     Non esiste più la mezza stagione. Saggio detto popolare le cui origini si perdono nella notte dei tempi, divenuto comicamente noto due decenni fa grazie alla memorabile interpretazione del Trio (Marchesini/ Lopez/ Solenghi per i lettori più giovani). E forse mai come quest’anno è vero quel detto (potremmo dedurne che i Maya l’avevano pronosticato?). Siamo a giugno ed io non ho ancora mai messo un paio di scarpe aperte, neanche quando ce ne sarebbe stato bisogno, influenzata come sono stata dall’alternanza sfiancante di pioggia e afa delle ultime settimane. Ieri pomeriggio, però, rincasando, ho notato con giubilo come gli operai incaricati di ristrutturare le facciate esterne del palazzo in cui abito, abbiano smantellato definitivamente le reti di protezione e le impalcature che hanno alterato per otto lunghi mesi la recezione della luce naturale da fuori a dentro il mio appartamento. È bastato questo a consolarmi della scomparsa dell’estate propriamente detta. Luce e temperatura, in effetti, sono strettamente connessi. E anche l’umore pare vi sia imparentato. Ne sappiamo qualcosa noi italiani: uno dei popoli più meteopatici del pianeta. Non a caso, tra gli argomenti di conversazione che tiriamo fuori più facilmente – oltre ai soldi che si vorrebbe avere, al governo che non si vorrebbe avere e al fisico (vedi automobile per i maschietti) che non si potrà mai avere – c’è proprio il tempo. Le scelte del luogo dove andare a passare un week-end, una settimana bianca, una vacanza estiva, una seconda vita, viene pregiudicato dal suo clima, poi dalla gastronomia, infine dalla sua quotazione (alias costo della vita). Non me ne sono mai pienamente resa conto fin quando una mia amica tedesca non me l’ha fatto notare: “Chi nasce col sole, non sa farne a meno. Quando sono venuta qui sentivo tutti che si preoccupavano in continuazione del tempo, che parlavano della vivibilità di questo o quel paese a seconda del suo clima… Ma che vuoi che me ne freghi a me se a Londra piove o se a Berlino è sempre grigio? A me interessa se un posto è divertente, culturalmente stimolante, intellettualmente vivace…”. Come darti torto, cara Jelske? Eppure il modo di vedere le cose di una persona non può dipendere esclusivamente dalle diottrie e dal suo conto in banca. Concorrono ai suoi stati d’animo anche elementi più fuggevoli, impalpabili, estemporanei, irrazionali: il profumo di una siepe di rincospermo, il sorriso di uno sconosciuto, un motivetto con il quale ci si sveglia al mattino. Se vogliamo essere più scientifici, poi, che dire delle lampade antidepressive? Servono proprio a curare il disturbo dell’umore ad andamento stagionale, che al contrario della depressione classica, ti fa ingozzare lo stesso e dormire di più. Del resto, le differenze caratteriali tra i popoli legate al clima le avevano già studiate e strutturate nel Settecento pensatori come Montesquieu e Madame de Staël (tanto per citare quelli più scolasticamente conosciuti). Certo, in tre secoli saranno pure cambiati i gusti e le priorità, ma vuoi mettere svegliarti acciaccato, senza amore, senza soldi, ma col sole, e iniziare la giornata acciaccato, senza amore, senza soldi, con la nuvola di Fantozzi sulla testa?

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