Quattro matrimoni e un salasso

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    Bella stagione, tempo di nozze. Ad oggi ho già ricevuto quattro inviti a matrimoni, ognuno dei quali si svolgerà a partire da questo mese fino a settembre. Maggio è rimasto fortunatamente tagliato fuori, almeno per i cattolici superstiziosi, che credono, in tal modo, di non offendere la castità della Madonna, e anche per i superstiziosi più laici, che hanno dimenticato le origini pagano-romane di tale astensione (Le Lemuralia, celebrazioni in onore dei morti, si svolgevano proprio in quel mese) ma che continuano a volersi tenere lontani dalla iella (non si sa mai). E non dimentichiamo chi si è fatto intimorire dal clima sempre più ballerino di questi ultimi anni, tant’è che, come ha postato più di qualcuno su Facebook, un maggio così non si vedeva da novembre.

    Nelle grandi città – ma ormai anche nelle piccole – la sacra unione viene programmata con un anticipo che ricalca il trend degli abbonamenti delle palestre. Con un preavviso di meno di un anno, scordatevi ristoranti liberi nei mesi caldi (i promessi sposi, si sa, preferiscono sempre locations all’aperto). Anche le chiese non sono da meno: certe cattedrali storiche sono talmente ambite che hanno addirittura istituito un calendario di prenotazioni telefoniche: chi mette la sveglia per tempo e riesce ad acciuffare il nanosecondo in cui la linea non è occupata, vince la partecipazione al grande gioco delle nozze; giorno, orario e ordine di celebrazione qualora ci fossero più coppie in lizza per la stessa data, dovranno comunque sottostare alle disposizioni del parroco.

    Tornando ai miei quattro inviti, rifletto su come almeno il problema n.2 – il regalo di nozze – sia per metà risolto. Una volta i futuri sposini, usciti caldi caldi dai bozzoli delle proprie famiglie d’origine, dovevano accettare loro malgrado tutto ciò che ricevevano in dono, finendo col ritrovarsi una quantità di servizi da caffè da fare a gara con un bar, batterie di pentole da poter attrezzare la cucina di un ristorante, collezioni di argenti da far impallidire una famiglia reale. Poi sono arrivate le liste di nozze di questo o quel negozio di fiducia, come a dire: almeno non ci capiteranno doppioni e sarà tutto di nostro gradimento.

    Oggigiorno, invece, non è raro trovare nella stessa busta dell’invito il numero di conto corrente di un’agenzia viaggi sul quale effettuare direttamente un bonifico che, sommato a tutti gli altri, assicurerà ai due piccioncini una cospicua luna di miele all’altro capo del mondo. Se, da una parte, la diffusa convivenza prima dell’abbandono dello stato civile di nubile e di celibe ha quindi reso superflua l’esigenza di aspettarsi come regalo elettrodomestici, complementi d’arredo e ammennicoli vari, d’altra parte, però, non ha affatto sgravato gli invitati dall’onere di devolvere una ragguardevole somma di denaro allo scopo.

    Il calcolo è antipatico e volgare, lo so, ma il risultato è quanto mai pratico e necessario a entrambe le parti: per non fare la figura degli spilorci e uscirne politically correct, bisogna considerare che un pranzo o una cena di nozze costa in media novantatre euro a persona. Per chi non se la sente di andare in banca o chi non ha dimestichezza con i pagamenti on-line, infilare in una busta una banconota da cento e accompagnarla a un simpatico biglietto d’auguri più o meno elusivo equivale a pagarsi il pasto da sé; raddoppiare la cifra è il minimo che il buon gusto suggerisce, un ulteriore obolo, infine, scagiona il donatore da qualsivoglia parentela con gli avidi calcoli di cui sopra.

    Se poi gli invitati costituiscono un nucleo familiare, la spesa aumenta. Le alternative a questo salasso sono becere e strategiche: a) lasciare la prole a casa. b) lasciare tutti a casa. In questo secondo caso, se da una parte si risparmierà in spese d’abito, accessori e parrucchiere, dall’altra, però, non ci si potrà comunque sottrarre all’incombenza del regalo, che sarà, però, un po’ più contenuto.

    E veniamo al problema n. 1: la mise di quel giorno.

    Fermo restando che gli abiti da uomo costano, generalmente, più di quelli da donna, è pur vero che i maschietti possono anche azzardare un riciclo: se il completo non sarà particolarmente originale, non se ne accorgerà nessuno. L’abbigliamento della donna, invece, passa meno inosservato, e a meno che i protagonisti dell’uno e dell’altro matrimonio non si conoscano, non potrà assolutamente essere bissato. Gli outlet grandi firme offrono una buona alternativa ai modelli di stagione a prezzo pieno, con un risparmio che può arrivare fino al settanta per cento.

    Se, infine, non si hanno pretese di acconciature d’epoca, una piega sobria e curata andrà più che bene; al massimo, con un po’ di civettuola carineria, si potrà pregare il nostro coiffeur di applicarci quel cerchietto o quelle mollette che abbiamo trovato in un negozietto di accessori e che ci darebbero un tocco glamour.

    E gli sposi? Come faranno a non estinguere in un sol colpo tutti i propri risparmi?

    In Italia per sposarsi in maniera tradizionale ci vuole più che una tombola (ma è anche vero che gran parte della spesa, nelle famiglie tradizionali, viene affrontata dai genitori delle coppie). Il costo maggiore è senz’altro costituito dal ricevimento, e dato il prezzo medio di un pranzo classico, il conto è bell’e fatto. In più, qualora i committenti dovessero venir meno al contratto che hanno dovuto stipulare anzitempo con la società di catering (o di banqueting), è prevista una penale che si aggira intorno ai tremila euro.

    Le ultime tendenze in fatto di banchetti nuziali prevedono che ad un primo aperitivo degustato con la lentezza necessaria a far tornare gli sposi dallo shooting fotografico, segua un’esposizione di pietanze che ricorda i chilometri di buffet di una nave da crociera, divise per tipologia come alle mostre enogastronomiche: formaggi, fritti, pesce, carne, salumi, verdure…

    Satolli come tanti tacchini ripieni, gli ospiti cominceranno dunque a deambulare un po’ intontiti tra i giardini di questo opulento girone dei golosi. Il buon senso e lo stomaco suggerirebbero un decisivo stop, invece la competizione continua al tavolo, dove ci attendono almeno un bis di primi, un secondo e un contorno. Prima della torta nuziale, infine, una tavolata di frutta e un’altra di dolci ci riporterà indietro agli scandalosi sfarzi della corte francese di Maria Antonietta. Ogni commento di riprovazione è tristemente superfluo, ma almeno così ci si può fare un’idea sul perché un banchetto di nozze costi così tanto.

    Al secondo posto tra le voci più care c’è il servizio fotografico e il video. Ai tempi dei miei genitori il video non era di moda, anche perché esisteva solo il proiettore e le cosiddette pizze. Le foto ritraevano i soggetti per lo più in pose statiche e di gruppo e venivano consegnate in dei grossi album provvisti di velina a separare ogni cartoncino. Oggi, invece, va di moda il fotolibro, e le foto vengono scattate e stampate in digitale negli stili più svariati. Quanto al video, c’è chi lo preferisce un po’ backstage un po’ trailer cinematografico; resta, però, il desiderio comune di inserirvi una colonna sonora. Il prezzo standard di questa farsa auto celebrativa si aggira, in media, intorno ai millecinquecento euro.

    La chiesa, ovviamente, va addobbata, e anche lì partono almeno mille euro; per il bouquet, invece, circa centocinquanta.

    Se lo sposo non è noblesse oblige potrà indossare, per l’occasione, un completo di tutto rispetto, non necessariamente da cerimonia ma ugualmente elegante, senza spendere una fortuna, ma per la sposa è diverso. L’abito con la A maiuscola è uno solo e inconfondibile, e nonostante lo si possa affittare – tanto quando te lo rimetti più?! – nessuna sposa italiana è disposta a farlo. Tra fiere apposite, outlet e negozi, si parte da millecinquecento euro in su. E poi ci sono le scarpe; il trucco fatto da un visagista delle dive – come cantavano qualche Sanremo fa Elio e le Storie Tese – ; il parrucchiere, che anche se opti per una capigliatura semplice, solo per il fatto di sfoggiarla alle tue nozze ti chiederà minimo duecento euro in più; e poi ci sono i confetti, i sacchetti, gli inviti, le fedi (a meno che non le regalino i testimoni); il gruppo che suona la serenata, il gruppo che suona al ricevimento, il gruppo che suona in chiesa; il tableau dei tavoli; la torta nuziale; la macchina d’epoca per chi non si accontenta di quella grossa di un parente tirata a lucido; le bomboniere o, come si usa da una quindicina d’anni a questa parte, i cartoncini ricordo di una onlus dagli scopi umanitari presso la quale gli sposi hanno deciso di devolvere la somma che avrebbero destinato all’acquisto delle classiche miniature d’argento o di vetro di Murano o di ceramica di Capodimonte. E se più di qualche invitato viene da lontano, spetterà agli sposi pagargli l’albergo, ad un minimo di trenta euro a persona. E così, quello che doveva essere il più bel giorno della tua vita, si trasforma nel giorno

    Mentre sui canali televisivi tematici impazzano trasmissioni sui servizi fotografici matrimoniali, sui wedding planners, sui make-up artists, sui pasticcieri specializzati in wedding cakes all’americana (tutta scena e glucosio), sugli abiti da sposa, sugli stilisti del verde e sugli esperti del ricevere, rimanere fuori dalla macchina del business diventa un’impresa.

    Per quel giorno si vorrebbe che fosse tutto perfetto: tutto come piace a mammà e a papà; tutto come piace agli amici che parleranno dell’evento ad altri amici; tutto come piace alla sposa, che vorrà sentirsi addosso l’ammirazione generale; tutto come piace allo sposo, che vorrà ubriacarsi di felicità con gli amici più cari; e se ciò significa spendere qualcosina in più (qualcosina?!), pazienza! Non è questo il momento di fare battaglie sociali. Perché rinunciare a un’usanza conclamata e rischiare di passare per inospitale o per pezzente? È così che funziona, da anni. Non saranno certo le nostre nozze anticonformiste a dare il buon esempio per cambiare le cose. Infondo è un solo giorno. Non stiamo mica firmando per il ritorno al nucleare!

    In realtà è possibile evitare questo magna magna generale con decoro e creatività (viviamo nell’era delle alternative e della competitività, vuoi non trovare un modo per tirartene fuori?!), ma ciò significa prima di tutto non credere che l’unicità del proprio matrimonio, della festa insieme a persone sinceramente felici per i novelli sposi, dipenda dal conto esibito da un fioraio, da un parrucchiere o da un ristoratore. Chi ci ama ci capirà e ci seguirà, e se tutto ciò che dovrebbe essere per i giovani e per le famiglie in Italia non lo è – vedi il prezzo delle case, l’indisponibilità delle banche a concedere mutui, il riconoscimento della maternità nel lavoro, il precariato, l’assistenza all’infanzia – almeno le nozze lo saranno. E senza ricorrere all’ennesimo salasso.

     

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