Salento cheap & freak

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    Agosto è ancora il mese d’eccellenza per andare in vacanza, e non a causa di un astruso masochismo collettivo – tutti i servizi, gli affitti degli appartamenti, i biglietti aerei, i viaggi organizzati costano di più che negli altri mesi estivi – quanto per via di un’ottusa pianificazione delle ferie dei dipendenti statali e non, cui i nostri governanti, in tanti anni di gestione della cosa pubblica, non hanno ancora saputo trovare un’alternativa intelligente.

    Che da tale delocalizzazione di massa, e conseguente presa d’assalto di luoghi preposti ad offrire relax e svago, si passi poi a una speculazione selvaggia ad opera dei professionisti del settore turistico, il passo è breve. Ma tant’è.

    Mentre i giornali e le TV denunciano un generale calo di consumi, anche sul fronte vacanze si registra una certa tendenza a fare economia; non nel senso di una rinuncia assoluta, piuttosto un ridimensionamento della villeggiatura intesa come ingombrante trasferimento familiare per un periodo medio lungo. Si parla, non a caso, di vacanze mordi e fuggi.

    Anch’io mi sono adeguata al nuovo trend, e come meta ho scelto il Salento, regione che in pochi anni ha saputo esportare le proprie tradizioni culturali – si pensi ai corsi di pizzica e di taranta – e gastronomiche – i taralli, le frise e le orecchiette pugliesi si vendono in qualunque supermercato italiano – così bene da dare del filo da torcere all’indiscussa egemonia partenopea.

    Ecco quindi come l’enfasi folcloristica e l’esaltazione di una cultura antica per certi versi ancora in atto, si fanno paradossalmente reazionarie nei confronti del conformismo alla villeggiatura chic e costosa, tanto da rendere il Salento una meta vacanziera freak, nel senso proprio di anticonformista.

    Ma non è questo il suo merito maggiore. Mi è capitato, infatti, di entrare in un bar, e poi in un altro, e in un altro più lontano, e tutte le volte ho pagato un euro sia un caffè che una bottiglietta d’acqua da 50 cl. È da piccole cose come queste che si capisce d’essere capitati in un posto che, seppur turistico, non adotta lo spennamento del cliente come fonte principale di sussistenza.

    Il Salento è il tacco d’Italia, una regione geografica bagnata dallo Ionio e dall’Adriatico, simile a certi paesaggi dell’Africa del Nord e della Grecia, che con i suoi chilometri di costa frastagliata (ha anche le spiagge: le cosiddette Maldive del Salento) appare aspro, quasi ostile, per niente adatto a piedi teneri e a turisti bianchicci in cerca di tintarella istantanea, e di fatti mi basta poco per intuire che gli scogli, i fondali rocciosi, i calanchi e le calette vertiginose sono la meta preferita dalla gente del posto, mentre i forestieri si affidano per lo più agli stabilimenti balneari che, anche su questo versante pietroso, riescono a ritagliare apposta per loro una striscia di sabbia attrezzata alla vecchia maniera.

    – Ma perché non fanno come in Turchia? – mi ha suggerito a tal proposito il mio amico Riccardo, di passaggio a Torre Suda nel mio stesso periodo – Anche lì hanno coste impraticabili, così le hanno coperte di tavolato e hanno installato lettini, ombrelloni, servizi igienici e di ristorazione e ogni altro genere di comfort per accontentare e richiamare turisti.

    Escluse le località più famose come Gallipoli, Otranto, Santa Maria di Leuca, Porto Cesareo, il litorale salentino si presenta quindi ospitale ma, nella sua non completa trasformazione in spa ad uso foresteria, ancora vergine. C’è pertanto da chiedersi quanta volontà ci sia di mettere a repentaglio la sua natura incontaminata e quanto, per contro, non si consideri già di per sé sufficiente uno sviluppo turistico contenuto com’è stato fin qui concepito. Fermo restando che per coloro che preferiscono alla quiete naturale e alle sagre pacchiane la movida delle discoteche e dei lungomari affollati, i posti più pubblicizzati – ma anche meno economici – sono solo a qualche chilometro di distanza.

    Ma la competitività si regge anche su qualcosa che la maggior parte dei nostri imprenditori sembra aver dimenticato: la qualità. Andando in giro a degustare prelibatezze autoctone, non è raro, di fatti, imbattersi in locali di distribuzione e depurazione del pesce (pescherie a tutti gli effetti) annessi a friggitorie e a ristoranti: vedi il pesce dal vivo, lo scegli, te lo fai cucinare sul posto e te lo fai servire al tavolo. Inutile dire che il prezzo finale, saltando diversi passaggi della filiera, risulta straordinariamente contenuto.

    Ma il Salento è un posto ambito non solo per la sua natura inviolata e la buona cucina, bensì anche per le sue tante città d’arte, promosse massicciamente, ben mantenute e inaspettatamente all’avanguardia per certi aspetti green in cui tutto il Bel Paese è, come si sa, tristemente arretrato.

    A Lecce, ad esempio, noto poche vetture e tante biciclette. Wikipedia a tal proposito recita così: “Pur trovandosi nel Sud Italia la città, essendo frequentata da giovani universitari provenienti da ogni regione d’Italia (soprattutto del Meridione) presenta numerose analogie con le città dell’ Italia settentrionale (in particolare emiliane) in quanto l’abbondanza di caffè letterari, la gran quantità di biciclette (usate al posto delle auto) e la pulizia e il rispetto nei confronti delle opere d’arte fanno di Lecce una città universitaria modello.”.

    A parte il fatto che sulle suddette bici ci vedo più adulti che giovani (che non siano docenti?!), si può davvero attribuire una relazione tra le opere d’arte ben conservate e il gradimento dell’offerta universitaria? Come anche la pulizia delle strade – accolta con stupore data l’appartenenza della città al Sud sozzo e approssimativo – e l’esistenza di locali dove poter bere e fare quattro chiacchiere, dipende dunque dalla presenza di studenti maggiorenni, che com’è noto sono squattrinati e poco interessati a provvedimenti cittadini che non li riguardino in prima persona, o piuttosto a un’amministrazione coscienziosa che ha operato scelte virtuose se non per fini etici, perlomeno a scopo di lucro? Il rispetto dell’ambiente, un piano regolatore a misura d’uomo, una conservazione e una diffusione informativa scrupolosa dei propri tesori, genera infatti ricchezza, e nel Salento evidentemente lo hanno capito.

    Un altro paio di cosette che mi lasciano piacevolmente sorpresa sono: una bella iniziativa a livello regionale di raccolta differenziata dell’olio vegetale esausto (a Castro ho trovato un distributore in un parcheggio vicino alla spiaggia) e parecchie proposte di cucina alternativa per la folla ghettizzata di vegetariani, vegani, intolleranti, ciliaci e quant’altro, a dispetto della conclamata fedeltà alla cucina di tradizione (a Galatina ho trovato una trattoria con o senza glutine; a Lecce una kebaberia che proponeva la nota piadina orientale con seitan invece che con carne; un po’ ovunque ho visto parecchie gelaterie che vendevano gelato di soia e non di latte e brioche senza lievito).

    Ovviamente le falle non mancano: troppi i distributori di carburante privati a prezzi proibitivi; presso i punti di informazioni turistiche di Lecce le mappe della città sono a pagamento; quasi ovunque i bar esibiscono il divieto di servirsi dei loro servizi igienici a coloro che non siano clienti in nome di un fantomatico articolo 28 del DPR 327/80, che a dirla tutta è relativo ai requisiti minimi obbligatori di un laboratorio di produzione e confezionamento, non all’obbligo di consumazione per gli utilizzatori del wc, mentre a Santa Maria di Leuca ho trovato un bar sulla cui porta del bagno c’era persino scritto che la toilette era accessibile ai non clienti al costo di un euro.

    La crisi nazionale, d’altronde, non ha lasciato immune la penisola salentina, come mi rivela la proprietaria di un ristorante tipico lamentando le nuove norme che vietano contratti a chiamata di personale accessorio seduta stante (“Come faccio a saperlo un giorno prima che il giorno dopo mi serviranno rinforzi perché si sono presentati più clienti del solito?) e impongono la retribuzione delle suddette prestazioni occasionali tramite buoni-lavoro (voucher) che spesso tardano a trasformarsi in denaro sonante quando il lavoratore va a riscuoterli alle Poste. E anche alcuni mestieri tipici come il costruttore di muretti a secco stanno via via scomparendo per un calo di richiesta dovuto alla minore disponibilità di spesa. In compenso le iniziative turistiche non mancano: visite guidate a grotte naturali piuttosto che ad edifici storici; eventi musicali che mescolano la tradizionale pizzica a sonorità più varie prese in prestito dal vasto Mediterraneo popolare come dalla raffinata musica da camera; insospettabili itinerari ciclabili e ospitate dei più richiesti dj internazionali nelle discoteche più cool della costa.

    Per i turisti più pantofolai, infine, è un tripudio di souvenir: dal tamburello tarantolato a vari suppellettili in pietra leccese tra cui spicca la cuccuàscia (la civetta, che insieme alle chiavi pontificie e alla corona fa parte del simbolo dello stemma di Galatina, e che in generale era venerata dagli antenati leccesi nell’VIII secolo a. C. per la sua associazione alla dea Minerva); dalla massaia salentina di terracotta alla sponza frisa (una terrina in cui imbevere la frisa, coperta a metà da un piano fisso forato su cui disporre la stessa a far colare l’acqua in eccedenza).

    Dopo tanto girovagare per spiagge sabbiose e spiagge rocciose, città d’arte e degustazioni di piatti tipici, penso sia giunto il momento di concedermi una notte brava in una discoteca sulla strada per Gallipoli. Inconveniente numero uno: il biglietto d’entrata costa cinquanta euro. Inconveniente numero due: le auto in coda paralizzano il flusso stradale per più di un’ora. Per la serie: anche qui siamo in Italia. Quindi mettiamola così: il Salento chic & expensive – o semplicemente quello alla carlona e truffaldino – resta sempre in agguato, pronto ad agire con espedienti improvvisati o adeguandosi ai raffinati mezzi del mercato moderno esattamente come in qualsiasi altro bel posto del nostro Bel Paese. Ma la riscoperta di un modo altro di fare, di sentire la convivialità, di ritenere questa terra e questo mare un prestito temporaneo, di onorare gli antenati millenari e le credenze popolari, di assaporare le cicale e il silenzio, di rispettare il viandante e il conterraneo, valgono la pena di una visita al Salento cheap & freak.

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