50 anni fa lo storico duetto Mina-Battisti. Uno dei protagonisti è un grande amico del Museo del Rock

Il batterista Gianni Dall'Aglio e il suo legame con Catanzaro

di Sergio Dragone

Otto minuti e 23 secondi. Che hanno cambiato la storia della musica, della televisione e della società italiana. Il mitico duetto Lucio Battisti-Mina, andato in onda il 23 aprile del 1972, compie cinquant’anni e ancora oggi continua a macinare milioni di visualizzazioni su you tube.

Non tutti sanno che uno dei protagonisti di quel momento epico, il batterista Gianni Dall’Aglio, è un grande amico di Catanzaro e del suo prezioso Museo del Rock. Gianni era uno dei “cinque amici da Milano” presentati da un emozionato e un po’ imbranato Lucio Battisti sul palcoscenico di “Teatro 10”. Gli altri erano il chitarrista Massimo Luca, il basso Angelo Salvador, l’altro chitarrista Eugenio Guarraia, il tastierista Gabriele Lorenzi. Forse nessuno di loro immaginava che quella sera sarebbe stata scritta la pagina più fulgida della storia televisiva italiana di sempre.

Il magico medley di successi firmati da Lucio e Mogol (Mi ritorni in menteIl tempo di morireE penso a teIo e te da soliEppur mi son scordato di te ed Emozioni) resta scolpito nella mente e nei cuori di intere generazioni di italiani. Riguardare quel filmato suscita le stesse, identiche emozioni di cinquant’anni fa e anche i millennians ne percepiscono la straordinarietà.

Ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere Gianni Dall’Aglio, ospite di Piergiorgio Caruso al Museo del Rock. Non solo un musicista di grandissimo valore, peraltro batterista prediletto di Adriano Celentano, ma anche un uomo profondo e generoso. Di una generosità estrema al punto di donare un rene alla moglie Orietta come atto di amore assoluto: “La cosa più bella che ho fatto nella mia vita”, mi disse con orgoglio.

Nei suoi “due metri quadrati di paradiso” (praticamente lo spazio occupato da una batteria), Gianni Dall’Aglio ha scritto pagine importanti della storia della musica italiana. Oltre al madley che oggi celebra i suoi 50 anni, mi piace ricordare lo strepitoso assolo di batteria finale di Non è Francesca e poi la sua canzone d’elezione, Pugni Chiusi, portata al successo dalla sua band, I Ribelli (e dalla portentosa voce-strumento di Demetrio Stratos).

Piergiorgio aveva avuto la bella idea di combinare a Catanzaro – magari al Politeama- l’irripetibile reunion dei “cinque amici da Milano”, senza trovare però orecchie sensibili nei titolari cittadini della cultura e dello spettacolo. Un’occasione sprecata. Sarebbe stato anche per la RAI un modo straordinario per celebrare la sua stessa storia. Ci resta comunque l’amicizia di una personalità eccezionale, di un grande uomo di musica come Gianni Dall’Aglio. Otto minuti epocali. Ad accompagnarli una band di «cinque amici da Milano», come li ribattezzò Lucio. Dietro alla batteria, Gianni Dall’Aglio: «Partono le prime note. Suoniamo liberamente, con energia. Quando mi riguardo, oggi, penso: Ma quanto sono bravi quei ragazzi!»

Iniziò tutto con il fischio di un treno?
«Partenza — alle 23 — dalla stazione Centrale di Milano per Roma. Insieme a Massimo Luca alla chitarra acustica, Angelo Salvador al basso, Eugenio Guarraia alla chitarra elettrica e Gabriele Lorenzi alle tastiere. Lucio ci aspetta, in cuccetta. Provammo la scaletta che era già nella sua testa fino a Piacenza e quella notte l’abbiamo montata dandole un’unica veste».

Fu Mina a chiamare Battisti?
«Credo di sì. Mina propone il duetto alla Rai, che contatta Mogol per sentire la disponibilità di Lucio. Lui era sempre restio ad esibirsi dal vivo. Riguardandolo è imbarazzato, specialmente nella prima canzone. Si girava a cercare il nostro sguardo. Arrivati a Roma andiamo in via Teulada a firmare il contratto: 20 mila lire a testa, e una liberatoria, che oggi mi pesa molto, dove cediamo ogni diritto su quell’esibizione. Poi in teatro arriva la batteria. Impugno le bacchette, do subito due colpi e mi accorgo che le pelli erano consumate, vecchie. Lucio era arrabbiatissimo.» Come avete risolto?
«La Rai manda delle persone in giro per tutta la città a cercarle. Le pelli arrivano solo poco prima dell’inizio. Quando Mina entra in studio ci dice: “Facciamo una prova veloce perché siamo in ritardo”. Parte il primo accordo ma a metà dell’ultimo brano Mina s’interrompe perché doveva scappare via. Quella è stata l’unica prova generale. Prima di esibirci, abbiamo atteso in camerino abbuffandoci di tramezzini. A Milano non li sapevano fare così buoni. E finalmente suoniamo».

Cosa le disse Lucio dopo?
«Ci siamo salutati e persi di vista, come tutte le volte. Lucio era giocoso e scherzoso sul lavoro, ma un orsetto nel privato. Ho suonato la batteria con lui in una quarantina dei suoi successi. Non c’erano telefonate per parlare di vacanze, ma ricordo memorabili pranzi in un ristorantino vicino all’Hotel Due Pini, ai Parioli. A tavola Lucio raccontava barzellette in romanesco e mi prendeva in giro perché ero di Mantova, chiedendomi: ”Ma ndò sta?”».

Ha incontrato ancora Battisti e Mina?
«L’ho rivista l’ultima volta nel ‘77 poi si è ritirata. Lucio, nel ’79, quando accompagnai Celentano a trovarlo. Mentre parlavano di famiglia e di figli, Adriano disse: “Prima o poi faremo qualcosa insieme?” e Lucio gli rispose: “Non lo so, forse. Io sono come te, non mi piace tanto lavora’!” e Adriano replicò: “Siamo uguali, anch’io non farei mai dischi nuovi”. Fu il nostro addio».