Libri, alla Ubik le amorevoli asimmetrie di Vanessa Sacco

Domani la presentazione del romanzo dalle mille sfaccettature dell'autrice catanzarese 

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    Si intitola “Amorevoli asimmetrie” il romanzo dell’autrice catanzarese Vanessa Sacco che domani sarà presentato alla “Ubik” di Catanzaro. Un romanzo dalle tante sfaccettature sul quale la scrittrice discuterà con il giornalista Davide Lamanna. Alle ore 19 nella libreria di via del Progresso, nel quartiere marinaro, si terrà questa chiacchierata che andrà ben oltre la semplice presentazione di un libro considerato che Sacco racconterà  anche una storia personale simile alle tante di chi ha dovuto abbandonare la propria città per inseguire un sogno: quello di attrice prima, quello di scrittrice dopo. In basso riproponiamo la sua intervista rilasciata a Catanzaroinforma lo scorso 17 settembre.  
    Dopo dodici anni dal primo romanzo, esce una nuova fatica letteraria dell’autrice catanzarese Vanessa Sacco: “Amorevoli Asimmetrie – L’arte di fuggire ancor prima di essere inseguiti” edito da Le Mezzelane. Da anni a Roma, divisa tra scrittura e teatro, è tornata in città per qualche giorno di vacanza. 
     
    Ricordo ancora la presentazione di “Il viaggio di Joëlle” (Roundrobin ed.) alla Biblioteca comunale, e poi le interviste alle radio locali, il piccolo tour calabrese che ne seguì. Cosa è cambiato da allora?
    Ti rispondo con un aneddoto che è stato per me profetico: durante una presentazione de “Il viaggio” a Reggio Calabria, uno degli organizzatori, autoctono, mi chiese quali riferimenti alle mie origini fossero contenute nel libro (io che ormai vivevo nella capitale, facevo l’attrice di teatro e a casa ci tornavo solo per le feste comandate). Deludendolo, gli risposi che non ce n’era nessuno, che non ne avevo sentito alcun bisogno, che il romanzo era femminile, intimista, con una buona dose di realismo magico e ambientazioni metropolitane che sconfinavano verso la Francia e la Romania, e infine, per dargli il colpo di grazia, gli dissi che non credevo nella vecchia immagine della valigia di cartone con cui qualche generazione fa i calabresi prendevano e partivano serbando nel cuore la loro dolce, ma evidentemente ingrata, terra natia. Seguì un piccolo dibattito di acceso regionalismo da parte suo e di freddo utilitarismo apolide da parte mia, finché il mio rivale depose le armi con queste poche, pregne parole: le origini non si cancellano; prima o poi sentirai il bisogno di parlarne. 
    Quindi “Amorevoli Asimmetrie” parla della tua città natale?
    Non proprio. L’ambientazione è di fantasia. Castelli è un’immaginaria città del sud cristallizzata in un’epoca lontana grazie al persistere di credenze magiche e antiche tradizioni, ma i lettori catanzaresi potranno trovarci molti riferimenti al capoluogo calabrese.
    È dunque un tributo?
    No, sarei un’ipocrita a spacciarlo come tale. È solo la mia memoria, soprattutto infantile. È quel legame alle famose origini del cui valore cercava di persuadermi il mio relatore tanti anni fa.
    Nel libro, come nel titolo, si parla d’amore…
    Sì, amore filiale, genitoriale, etero e omosessuale. L’eros dà sempre la giusta quantità di pepe ai romanzi. Anche se io do sempre prima molta importanza ai legami famigliari.
    Se per l’ambientazione ti sei ispirata a Catanzaro, per i personaggi a chi ti sei rifatta?
    “Amorevoli Asimmetrie” è il mio secondo romanzo pubblicato ma in realtà è come se fosse il primo, perché ho iniziato a scriverlo molto tempo prima de “Il viaggio” , poi l’ho lasciato decantare fino a che diventasse quasi aceto, quindi l’ho ripreso in mano, rimescolato e filtrato con tutto quello che di più significativo avevo vissuto nel frattempo,  per cui il personaggio di Sam, problematico e visionario, che è stato il primo a essere creato, ricalca un po’ di  ingenuità dei primi anni in cui mi cimentavo nella scrittura romanzesca: quelli dell’università. Il suo ambizioso antagonista Lio, invece, è il frutto  delle mie bizzarre frequentazioni nei primi anni in cui facevo teatro. 
    Da come si legge nella sinossi, c’è anche un piccolo giallo…
    È un giallo più psicologico che reale, ma non posso dire di più altrimenti sciupo la sorpresa.
    E poi c’è lei, l’ironia, come si legge addirittura nella dedica.
    L’ironia fa parte della mia cifra stilistica (o almeno credo). In fondo sono sempre stata un po’ pesantona: riflessiva, tendenzialmente pessimista, anche un po’ orsa. L’ironia mi dà la giusta levità, soprattutto nella scrittura, nella recitazione, in generale nell’arte. Serve a non prendere mai troppo sul serio quello che sto facendo perché da un momento all’altro si può finire dalle stelle alle stalle, e poi perché – diciamocela tutta – scrivere un romanzo o interpretare un ruolo a teatro non è salvare una vita. E poi mi è stato insegnato a scuola di teatro: un certo straniamento, prendere le distanze dai propri personaggi, non soffrire solo perché loro soffrono. E qui non posso non citare il famoso aneddoto del backstage del film “Il maratoneta”. Pare che un giorno Dustin Hoffman fosse preoccupato per una scena fondamentale; Lawrence Olivier gli chiese che avesse e Hoffman: “Devo preparare la scena in cui il mio personaggio sta tre notti sveglio e … stavo pensando di restare sveglio tre notti”. E Olivier: ”Perché non provi semplicemente a … recitare”. 
    È troppo presto per chiederti se hai altri progetti in serbo?
    Assolutamente no: non è troppo presto. Ho almeno altri tre progetti editoriali che mi ronzano in testa e dal monitor del mio pc.

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