Interdittiva annullata, la Prefettura non ha dato elementi sufficienti

Il provvedimento antimafia emesso nei confronti di una ditta di Cirò secondo il tar non aveva adeguati fondamenti per sussitere perchè non basato su elementi concreti

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    di GIULIA ZAMPINA

    Interdittiva antimafia annullata. E’ questa la decisione del Tar Calabria assunta a seguito di un ricorso presentato da una ditta di Cirò Marina operante nel campo dei parchi giochi e attività simili. I giudici amministrativi hanno accolto le tesi difensive dall’avvocato Sandro Cretella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Gualtieri

    I PRESUPPOSTI DEL PROVVEDIMENTO INIBITORIO

    Il provvedimento inibitorio è motivato, anzitutto, con riferimento alle “risultanze emerse dai rapporti delle forze di polizia anche correlate all’ordinanza di fermo di indiziati di delittodel 12.5.2017 emessa dalla Direzione Distrettuale antimafia presso la Procura della Repubblica di Catanzaro”, nella quale si dà conto di una conversazione tra un esponente di una consorteria mafiosa e il figlio dalla quale emergerebbe il tentativo, tuttavia non andato a buon fine, di imporre alla ditta l’assunzione di una persona alle dipendenze dell’azienda

    I MOTIVI DELL’INTERDITTIVA

    La Ditta ha impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensiva, il provvedimento interdittivo che si basava su una  informativa della Guardia di Finanza di Crotone dell’8 novembre 2017 emerge, inoltre, che il coniuge convivente di una dipendente della società risulta gravato da numerosi procedimenti di polizia e penali, tra i quali associazione a delinquere e detenzione abusiva di armi, reati per i quali, unitamente ad altre persone, è stato deferito alla DDA di Catanzaro “in quanto facente parte del sodalizio mafioso  La medesima dipendente, inoltre, risulta affine (suocera) di soggetto destinatario di provvedimento di fermo emesso dalla D.D.A. di Catanzaro per associazione a delinquere di tipo mafioso. Tale soggetto è, peraltro, figlio di noto “boss dell’omonima cosca crotonese”.

    Il gravato provvedimento, da ultimo, pone in rilievo alcuni passaggi dell’informativa della Guardia di Finanza dai quali, anche sulla scorta del contenuto di conversazioni intercettate, emergerebbe la “condiscendenza” del Presidente del C.d.a. “all’ambiente delle cosche”. Lo stesso, infatti, a fronte di una paventata estorsione ai suoi danni, anziché denunciare l’accaduto, avrebbe sollecitato l’intervento un diverso soggetto affinché, con “chi di dovere”, ponesse fine a tali atti intimidatori. Ciò che darebbe conto, secondo quanto indicato nell’informativa, di una “abitudine” della ditta più volte menzionata nell’ordinanza della DDA di Catanzaro  relativa all’operazione la quale sarebbe quindi “adusa ad assumere persone vicine alle cosche per accreditarsi presso le stesse”.

    PERCHE’ IL RICORSO SECONDO I GIUDICI E’ MERITEVOLE DI ACCOGLIMENTO

    Il ricorso secondo i giudici amministrativi  è meritevole di accoglimento.

    Gli elementi fattuali che sorreggono il provvedimento interdittivo – e il quadro indiziario che ne deriva – non risultano idonei, secondo l’avviso del Collegio, a dar conto della sussistenza di un rischio di infiltrazione o di condizionamento dell’attività e delle scelte gestionali della società ricorrente, non risultando, detti elementi, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose.

    Il primo elemento del quadro indiziario posto a fondamento dell’interdittiva – il tentativo di imporre alla società l’assunzione di un soggetto – discende dal contenuto di un’intercettazione di un colloquio intervenuto inter alios, tra persone, cioè, del tutto estranee e slegate dalla compagine della società rispetto alle quali non è comprovato, inoltre, alcun collegamento, neanche di altro tipo, con l’ente ricorrente, sì da assumere, per tale via, carattere di elemento indiziario solo indiretto e francamente remoto, peraltro senza ulteriore seguito e privo di riscontro effettivo atteso che, come indicato nel provvedimento gravato, la predetta assunzione non è si è, in realtà, affatto concretizzata.

    Il rapporto di coniugio e di affinità di una dipendente della società, di per sé solo e in difetto di ulteriori riscontri concreti non può assumere rilevanza dirimente sul piano del rischio infiltrativo, non essendo idoneo, nel caso di specie, a sostenere l’ipotesi di “una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti)” della società ovvero idoneo a suffragare l’ipotesi che “le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto.

    Neanche la prospettata “condiscendenza” del Presidente del C.d.a. della –ditta  “all’ambiente delle cosche” risulta adeguatamente supportata attraverso l’indicazione di elementi informativi o evidenze fattuali specifiche e concrete, idonee a giustificare, sul piano prognostico, la valutazione negativa svolta dalla Prefettura.

    LA PREFETTURA DI CROTONE NON HA DATO ELEMENTI INDIZIARI CHE POSSANO ESSERE CONCRETAMENTE INDIVIDUATI

    In applicazione delle suindicate coordinate ermeneutiche e valutata la documentazione depositata in giudizio dalle parti, il Collegio ritiene che la Prefettura di Crotone, a seguito dell’attività istruttoria effettuata, non abbia sufficientemente dato conto di elementi presuntivi e indiziari concretamente individuati che possano ragionevolmente considerarsi sintomo di connessione dell’attività imprenditoriale della ricorrente con logiche ed interessi malavitosi.

    Non sono stati prodotti, in sostanza, da parte delle intimate amministrazioni, atti o elementi concreti, al di là dei vincoli familiari di una dipendente – su una compagine di complessivi 135 lavoratori nel 2017 – e di colloqui telefonici intercorsi tra soggetti terzi, dai quali sia possibile, sulla base del giudizio del più probabile che non, desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa o dai quali comunque risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose.

    Per tali ragioni – fermo naturalmente il potere di valutazione del Prefetto, anche sulla scorta di eventuali, ulteriori emergenze fattuali ed elementi indiziari relativi al caso in parola – il ricorso deve essere accolto e il gravato provvedimento interdittivo annullato.

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