Al Teatro Comunale un evento che celebra DeAndrè a 20 anni dalla morte

Il prossimo 11 gennaio. La riflessione e l'invito di Sergio Dragone, appassionato cultore di Faber e autore di un’antologia dei versi più belli della canzone italiana

Più informazioni su


    Tra qualche giorno, esattamente l’11 gennaio,ricorreranno i venti anni dalla morte di Fabrizio De Andrè. A Catanzaro, il “sommo poeta” della canzone italiana sarà celebrato con uno spettacolo originale, “Come un’anomalia”,scritto a quattro mani da Marcello Barillà e Salvatore Emilio Corea, che si terrà al Teatro Comunale con inizio alle 20,30.

    Sergio Dragone, appassionato cultore di Faber e autore di un’antologia dei versi più belli della canzone italiana (“Tu chiamale, se vuoi, poesie”), ha dedicato una sua riflessione sul rapporto intenso, controverso e conflittuale tra De Andrè e Dio.

    E’ anche un invito a partecipare all’evento costruito da Edizione Straordinaria-Compagnia del Teatro di MU’, con il contributo dell’Associazione “Luci della Città”.

     

    Fabrizio De Andrè è in assoluto il poeta moderno più prossimo a Dio, è quello che lo ha visto più da vicino. Il Dio cantato da Faber ha il volto sofferente dei carcerati e dei drogati, delle puttane e dei travestiti, dei diseredati e dei suicidi.

    Si,proprio lui, il fumatore incallito, l’autore più trasgressivo e controcorrente, amante delle frasi forti e delle parolacce,l’anarchico e il rivoluzionario, è arrivato se non a toccare, quantomeno a sfiorare Dio con le sue poesie.

    Blasfemo e bestemmiatore per taluni, in realtà Fabrizio è colui che ha riconosciuto la presenza di Dio, con il quale ha ingaggiato un “confronto” ironico,polemico, drammatico, commovente, a seconda delle situazioni. E’ arrivato a rimproverarlo di non essere “giusto”,di essere “distratto”, di essere “troppo distante”. L’ingiustizia è la “normalità”, la giustizia divina può essere “un’anomalia”.

    Il confronto con Dio lo troviamo,già ben delineato,nell’album “Volume I” del 1967. In una delle canzoni meno famose, “Spiritual”, il Sommo Poeta ribalta gli schemi, si rivolge al Supremo senza timori riverenziali e gli dice, a muso duro, che deve scendere dal suo piedistallo: “Dio del cielo, se mi vorrai amare, scendi dalle stelle e vienimi a cercare”. E’ il canto di dolore dei neri d’America,che parte dai campi di cotone per raggiungere il cielo, reclamando giustizia(“un attimo di gioia me lo puoi regalare”).

    E sempre nel “Volume I” compaiono alcuni dei capolavori assoluti di Faber e affiora la “contestazione” a questo “Dio delle Chiese” che sembra chiudere un occhio sulle ingiustizie che si compiono nel suo nome.

    In “Preghiera in gennaio”De Andrè si schiera dalla parte dei suicidi(“quelle labbra smorte, che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”) che la Chiesa ufficiale e benpensante  ripudia.

    Qui Fabrizio “assolve” il Signore e si dice sicuro che “non c’è l’inferno nel mondo del Buon Dio”.

    I suicidi, come Luigi Tenco,non meritano l’inferno.”Dio di Misericordia, il tuo bel Paradiso l’hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso”.

    Senza scomodare la celebre “La buona novella”, ispirata alla lettura di Vangeli apocrifi, e l’altrettanto celebre”Anime salve”, un altro brano del Volume I del 1967  merita di essere citato. Si tratta de “La Città Vecchia” che in realtà era già uscito due anni prima come singolo.

    Anche qui De Andrè canta quel popolo sotterraneo che vive nei quartieri malfamati, dove lungo le calate (siamo a ridosso del porto di Genova) si possono trovare ladri, assassini, ubriachi, prostitute e perfino quel “tipo strano che ha venduto per tremila lire sua madre ad un nano”.

    E anche qui rimprovera, con una forte ironia, quel Dio troppo impegnato a riscaldare i quartieri dei ricchi per trovare il tempo di “dare i suoi raggi” ai dimenticati.

    Il concetto, per la verità, non appartiene a De Andrè. E’ ripreso da una poesia di Jaques Prèvert.

    Ma dove il Sommo arriva alle vette della sua giustizia sociale è nei versi finali, quando si appella ai buon pensanti, dicendo loro di non condannare questi reietti, questi scarti della società, perché “se non sono gigli, sono pur sempre figli, vittime di questo mondo”.

    “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, rafforzerà il concetto in “Via del Campo”. Immenso Faber.

    Sergio Dragone

    Più informazioni su