Così la massoneria tentava di ‘piegare’ i magistrati catanzaresi

Arriva fino al capoluogo calabrese l’onda lunga dell’inchiesta di Lecce che ha portato in carcere due magistrati. Uno dei due tento’ di ‘aggiustare’ un processo a suo carico incardinato a Catanzaro, tramite un esponente di primo piano di Forza Italia e un legale ‘fratello’

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    Di Giulia Zampina 

    Quindi non si è piegato questo figlio di …., non rinvia’. Il soggetto di cui uno dei due magistrati arrestati su ordine della Procura di Lecce con l’accusa di aver ‘aggiustato’ processi, si riferisce è un altro magistrato, in servizio però alla Procura di Catanzaro. Il giudice catanzarese, secondo il collega pugliese, merita l’epiteto che gli viene affibbiato durante una conversazione con la sua amante, perché non ha accettato l’ipotesi di rinviare un processo a carico dell’indagato che si era incardinato appunto a Catanzaro.

    E dalla Puglia arriva nel capoluogo calabrese l’onda lunga dell’inchiesta che coinvolge pezzi della magistratura. Ci arriva perché alcuni procedimenti datatati 2016 erano appunto incardinati a Catanzaro. E ci arriva cavalcando i millantati poteri delle logge massoniche e della politica. Infatti lo stesso magistrato, arrestato nei giorni scorsi, mentre a Roma strizza l’occhiolino ai consulenti del Sindaco Raggi che propongono il suo nome per un posto di sottogoverno nella giunta capitolina, a Catanzaro, facendo una certa confusione però nelle varie parentele dei sindaci calabresi e anche con le province di appartenenza, il Pubblico ministero oggi indagato, si fa sponsorizzare da un pezzo da novanta oggi deputato di Forza Italia non catanzarese, nella speranza di avvicinare appunto il giudice che ha in carico il suo procedimento.

    In questa vicenda, che si snoda tutta tra intercettazioni telefoniche ed incontri riportati nelle 864 pagine di ordinanza, non mancano altri protagonisti che si adoperano a favore dell’indagato. Uno è legittimamente l’avvocato difensore che agisce e si muove  , nel suo rapporto con il Pm al centro dell’inchiesta, nella sua funzione di legale dell’indagato.

      L’altro è un avvocato, che non risulta agli atti come difensore dell’indagato, che  invece viene proprio  indicato come “fratello” intendendo con ciò non un legame di sangue ma di appartenenza alla stessa loggia e che per questo motivo viene interessato della vicenda della quale si occupa ricevendo però dal giudice ‘avvicinato’ un fermo e risoluto diniego alle richieste avanzate.

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