Aldo Moro, l’ultimo grande statista dell’Italia Repubblicana

Riflessione del sociologo Mario Arcuri su Aldo Moro, in occasione dell’anniversario del rapimento dello statista democristiano


Mario Arcuri* – “Aldo Moro, l’ultimo grande statista che l’Italia Repubblicana abbia conosciuto, viene ricordato, a torto, due volte all’anno. Il 16 marzo, in occasione dell’anniversario del suo rapimento e dell’eccidio della sua scorta in via Mario Fani e il 9 maggio, giorno in cui il suo corpo senza vita venne rinvenuto nel bagagliaio di una Renault rossa nella centralissima via Caetani in Roma. In mezzo, l’oblio, salvo qualche formale richiamo all’intelligenza politica di Aldo Moro, quasi sempre appannaggio di chi, nei fatti e nella pratica, dimostra di avere poco a che fare con gli insegnamenti dello statista democristiano. Ho avuto la fortuna e l’onore di imbattermi, recentemente, con Maria Fida, la figlia primogenita di Moro e con il nipote Luca. Frequentazioni che tanto mi stanno insegnando nella ricerca e nell’approfondimento del pensiero e della testimonianza politica del “martire della democrazia” italiana. Tra i tanti, molteplici aspetti che caratterizzano la figura di Aldo Moro, uno fra tutti risulta funzionale ad una edificante testimonianza: l’esercizio cristiano del perdono nella giustizia e nella verità. Di questo Maria Fida Moro, in nome e per conto del papà, è coerente rappresentante. Mi ha raccontato che nel 1984, sei anni dopo l’assassinio di Moro, ella si recò nel carcere di Rebibbia a Roma per incontrare Valerio Morucci e Adriana Faranda, assistita dal compianto giudice Ferdinando Imposimato. Quali ragioni la spinsero a questo gesto è presto detto: “La prima ragione è che sono una seguace di Gesù Cristo. E per i cristiani perdonare è una necessità più che un obbligo. La seconda è che mio padre, al mio posto, sarebbe senz’altro andato a compiere quella che, tra l’altro, è un’opera di misericordia. La terza ragione è che, anche soltanto dal punto di vista umano, sarebbe stata una esperienza importante. E lo è stata. Quello era perdono, nel senso che mio padre come giurista e come credente mi aveva insegnato. Invece rigetto quella specie di “perdonismo pubblicitario” che è oggi molto di moda.”.

Morucci e Faranda sono due brigatisti dissociati dalla lotta armata, sebbene il memoriale a cui si fa riferimento nel “Caso Moro”, dettato dagli stessi, contiene ancora oggi aspetti oscuri verità che si sono rivelate nel corso degli anni, pesanti nefandezze che non hanno certamente contribuito al chiarimento di enormi dubbi sul “caso Moro”. Ma questa è un’altra storia, brutta. Quella bella è la storia che stiamo provando a raccontare e a rinverdire in tempo di Quaresima e che per i cristiani impegnati in politica, nel sociale, nelle esperienze ecclesiali, non può che essere tenuta a costante riferimento, l’esperienza del perdono e delle pena riparatoria. Aldo Moro, prima ancora che impegnarsi in politica, nel 1945 era direttore della rivista cattolica “Studium”. Un suo articolo “La Giustizia e l’Amore” può essere utile al nostro scopo. Moro scrive: “Vi sono in questo momento nel nostro paese e presumibilmente non soltanto nel nostro, dolorosi fenomeni di rigorosa intransigenza. Naturalmente non si vuole negare qui che la giustizia debba fare il suo corso, nè si ha la pretesa di ridurre semplice e piano quello che è invece terribilmente complesso. Ma non si può fare a meno di avvertire del carattere non risolutivo dei mezzi adoperati per risolvere questa gravissima crisi. Vogliamo eliminare? Vogliamo punire? Va bene. Ma poi? Qual è il domani che noi prepariamo?”. La lezione di Moro, docente accademico di Istituzioni di diritto e procedura penale, la si ritrova fedelmente nei lavori dell’Assemblea Costituente, quando egli sottolinea la necessità di bandire, dal nostro ordinamento, qualsiasi pena che fosse contraria al principio, poi sancito dall’articolo 27 della Carta Costituzionale che sancisce l’umanizzazione della funzione riparatoria della pena in vista di una completa rieducazione del male commesso.
 

Maria Fida, a questo proposito ci ricorda che “Moro era convinto, in quanto giurista, che la pena ha un senso solo se riabilitativa. In caso contrario è vendetta”.  E non è vendetta quella che cerca il cristiano offeso nel diritto del rispetto della vita, ma verità. «Finché tutti gli italiani, anche chi nel ‘78 non era ancora nato, non si assumeranno la responsabilità etica della morte di un innocente, ci sarà sempre un punto di inciampo. Se non si farà chiarezza a livello collettivo sulle reali responsabilità della morte di Aldo Moro questo Paese resterà nel fango». Oggi più che mai questa lezione e questa testimonianza sono da riscoprire e valorizzare. L’ordine civile non può essere ristabilito con la violenza e con il male: si tratta di un posizione incompatibile con gli insegnamenti di Gesù che ha sempre “apertis verbis” combattutto il male, mai dimenticandosi di sollevare l’errante ridonandolo ad una nuova vita. È questa la prospettiva che la dottrina sociale della Chiesa conferma con lo studio su tali questioni che toccano da vicino l’uomo. Ricordare Aldo Moro significa anche questo: uscire dai luoghi comuni commemorativi e comprendere da vicino gli insegnamenti di un uomo impegnato in politica “da cristiano”. E si tratta di un patrimonio che non ci possiamo permettere di disperdere

*Scrittore e sociologo