False perizie per favorire boss, sedici indagati

Indagati avvocati e medici nell' inchiesta Dda Catanzaro, notificato avviso conclusione indagini

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    Falsi certificati medici, false perizie psichiatriche e depistaggi con lo scopo di fare uscire dal carcere l’ex boss della ‘ndrangheta di Vibo Valentia e capo della cosca “Pardea-Ranisi” Andrea Mantella, dal 2016 collaboratore di giustizia. E’ quanto e’ emerso da un’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro che vede indagate 16 persone tra cui alcuni avvocati e medici legali calabresi. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla Dda. Tra gli indagati ci sono gli avvocati Salvatore Staiano e Giuseppe Di Renzo, ex difensori di Mantella  False perizie per favorire boss, indagati avvocati e medici Tra i 16 indagati ci sono anche i medici legali Massimiliano Cardamone e Massimo Rizzo. I reati che vengono ipotizzati, a vario titolo, agli indagati sono corruzione in atti giudiziari e falsa perizia, aggravati dalle modalita’ mafiose. Alla notifica dell’avviso di conclusione indagini hanno partecipato i carabinieri dei Nuclei Investigativi di Cosenza, Catanzaro e Lamezia Terme e delle Compagnie di Bari San Paolo e Locri. Dalle indagini e’ emerso inoltre il significativo ruolo che sarebbe stato svolto nella vicenda da una casa di cura privata calabrese, che sarebbe stata utilizzata per il ricovero di esponenti di ‘ndrangheta falsamente malati e come luogo d’incontro tra boss della criminalita’ organizzata calabrese, diventandone cosi’ una sorta di base operativa.

    Tutti gli indagati: Andrea Mantella, 46 anni, di Vibo, attualmente collaboratore di giustizia; Silvana Albani, 69 anni, di Bari, medico; Luigi Arturo Ambrosio, 82 anni di Altilia, medico e legale rappresentante della clinica “Villa Verde”; Domenico Buccomino, 66 anni, di San Marco Argentano, medico consulente tecnico della difesa; Massimiliano Cardamone, 43 anni di Catanzaro, medico legale; Sabrina Anna Maria Curcio, 51 anni, di Lamezia Terme, consulente di parte; Antonio Falbo, 56 anni di Lamezia Terme; Francesco La Cava, 62 anni di Catanzaro, medico legale; Santina La Grotteria 46 anni, di Maierato, compagna di Andre Mantella; Francesco Lo Bianco, 48 anni, di Vibo; Sergio Lupis, 71 anni di Canolo, ingegnere, consulente tecnico della difesa; Mauro Notarangelo, 51 anni di Catanzaro, medico legale; Massimo Rizzo, 56 anni, di Catanzaro, medico, consulente tecnico della difesa; Antonella Scalise, 62 anni di Crotone, consulente tecnico della difesa; gli avvocati Salvatore Maria Staiano, 63 anni di Locri, avvocato penalista, già difensore di Mantella; e Giuseppe Di Renzo 46 anni di Vibo, avvocato penalista, già difensore di Mantella.

    Il primo capo di imputazione, con cui viene contestato il reato di false attestazioni in atti giudiziari, riguarda la costruzione di una falsa attestazione che Mantella era affetto da patologie psichiatriche tali da renderlo incompatibile con il sistema carcerario, indicando come necessaria la sua allocazione in una struttura clinica esterna al circuito penitenziario. Il “disegno criminoso” avrebbe coinvolto Mantella, l’avvocato Di Renzo, considerato istigatore e determinatore della condotta, e i consulenti tecnici della difesa La Cava, Notarangelo, Cardamone e Curcio. In particolare Andrea Mantella nel febbraio del 2006 poneva in essere una evidente simulazione di un tentativo di suicidio nel carcere di Siano, tentativo che non veniva neppure preso in considerazione dal medico di guardia del penitenziario. Francesco La Cava, nella qualità di medico legale, dopo una visita effettuata nel carcere di Vibo, nelle relazione tecnica di parte attestava falsamente che Mantella “è un soggetto affetto da sindrome suicidiaria”, allegando la relazione di parte dello psichiatra Mauro Notarangelo, anche egli indagato per false attestazioni insieme agli altri consulenti di parte Massimiliano Cardamone e Sabrina Anna Maria Curcio. L’avvocato Di Renzo avrebbe quindi depositato nell’aprile del 2007 presso il gip di Catanzaro l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere, allegando le false consulenze tecniche di parte, al fine di ottenere la scarcerazione di Mantella. La falsità delle perizie è stata confermata dallo stesso Mantella sin dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria.

    Il mancato accoglimento delle conclusioni confluite nelle false consulenze di parte, avrebbero spinto quindi il codifensore di Mantella, avvocato Staiano, considerato dagli inquirenti istigatore e determinatore della condotta, a redigere una nuova falsa attestazione sulla falsa riga della prima, aggiungendo una ulteriore falsa patologia, mai diagnosticata nelle precedenti consulenze di parte ed attestando dati manifestamente contrastanti con quanto evidenziato dal consulente della Procura, prof. Giulio di Mizio, ma anche con quanto già accertato dal dott. Fernando Roccia, perito incaricato dal giudice. In particolare Massimo Rizzo attestava che Mantella era affetto da “disturbo da dipendenza da cocaina, cronico, grave, in remissione parziale” e che aveva “manifestato idee di suicidio”. Attestazioni false sono contestate anche alla consulente Antonella Scalise. L’avvocato Staiano avrebbe quindi depositato nell’agosto del 2007 presso il gip di Catanzaro l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere, allegando le false consulenze tecniche di parte. 

    Notarangelo è indagato anche per false dichiarazioni sulle proprie qualità (in concorso con Mantella e gli avvocati Staiano e Di Renzo) in quanto nella veste di pubblico ufficiale, in quanto perito designato dal gip nel procedimento penale, al fine di verificare le condizioni di salute di Mantella e la compatibilità con il regime carcerario, dichiarava falsamente nel verbale di udienza di non versare in condizioni di incompatibilità, e comunque ometteva di astenersi benché avesse in precedenza ricevuto incarico di consulenza di parte dell’imputato (la relazione psichiatrica allegata all’istanza difensiva depositata nello stesso procedimento penale). Inoltre è indagato, insieme a Massimo Rizzo, per falsa perizia.

    Notarangelo è anche accusato di corruzione in atti giudiziari, per avere accettato, nella sua qualità di perito del Gip di Catanzaro, e quindi di pubblico ufficiale, la promessa di una somma di denaro, al fine di redigere un elaborato peritale attestante una patologia psichiatrica inesistente, per favorire Mantella. Somma di denaro che veniva consegnata al professionista  da Santina La Grotteria, all’epoca dei fatti compagna di Mantella.

    Tra i reati contestati nell’avviso firmato dai sostituti procuratori Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso e Annamaria Frustaci, oltre che dal capo della Procura Nicola Gratteri,  figura anche il favoreggiamento. In particolare l’avvocato Di Renzo, in qualità di legale di Andrea Mantella, avrebbe violato i doveri derivanti dall’esercizio della sua professione in concorso con ignoti ufficiali di polizia giudiziaria. Il legale, avendo appreso di attività investigative in corso e di accertamenti che da lì a poco sarebbero confluiti in un provvedimento di sequestro da parte del Tribunale di Vibo, avrebbe informato lo stesso Mantella delle indagini in corso, “aiutandolo ad assicurare il prezzo, il prodotto o il profitto dei reati da lui commessi e in precedenza riciclati attraverso il reinvestimento in attività lecite”. In sostanza grazie alle informazioni avute dal suo legale, Mantella sarebbe riuscito a vendere la società “Vibo Carni 58”  tre mesi prima di vedersi notificare il provvedimento ablativo, ad alienare alla società Vibo Carni 58 bovini e a svuotare i conti correnti a lui intestati, rendendo così inefficace il provvedimento.

    Un’altra ipotesi di favoreggiamento è contestata dai pm agli avvocati Di Renzo e Staiano, ad Antonio Falbo, Santina La Grotteria, Francesco Lo Bianco, Sergio Lupis, accusati di aver aiutato Mantella ad eludere le investigazioni e a precostituirsi un falso alibi per l’omicidio di Raffaele Cracolici avvenuto nel 2004, e per il quale era stato arrestato nel novembre del 2007.

    Ricordiamo che queste solo soltanto ipotesi di accusa formulate dalla Procura: ora i difensori degli indagati avranno venti giorni di tempo per chiarire le posizioni dei propri assistiti con ogni atto utile ad assicurare il diritto di difesa, ad esempio depositando memorie o chiedendo di essere ascoltati dal pubblico ministero. L’informazione di garanzia è infatti un atto a tutela dell’indagato, e serve a garantire il pieno diritto di difesa. Solo dopo aver valutato le posizioni della difesa i pubblici ministeri decideranno se procedere con una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio.

    A.C.

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