Spy software ‘Exodus’, sono due i catanzaresi coinvolti (DETTAGLI)

L'operazione che ha portato in manette un imprenditore catanzarese per la vicenda dello spy software che ha spiato migliaia di italiani è dei Ros di Napoli


Di Giulia Zampina 

Sono due i Catanzaresi finiti al centro delle indagini che il Ros di Napoli ha effettuato sulla vicenda del software Exodus. Si tratta dell’ imprenditore catanzarese Salvatore Ansani, direttore tecnico dell’azienda, finito in manette, considerato l’ideatore di tutto, e di un suo dipendente D.M. (esperto informatico), che lavorava nella azienda E-Surv srl. Secondo quanto ricostruito tra marzo e aprile dagli inquirenti, avrebbero spiato migliaia di ignari italiani. Il terzo soggetto finito agli arresti domiciliari, sempre un calabrese di Locri, ma residente nel milanese, è Diego Fasano, l’amministratore dell’azienda.

L’operazione, è stata seguita fin dagli inizi della vicenda dalla Procura di Napoli proprio perché la prima occorenza del malware si è verificata a Napoli.

All’imprenditore è stata applicata la misura degli arresti domiciliari considerati i gravi indizi di colpevolezza ed il ruolo che la Procura guidata da Giovanni Melillo, ascrive al catanzarese, tra i titolari della ditta che consapevolmente avrebbe attraverso dei virus trojan spiato anche alcune Procure italiane. Trojan creati dal dipendente coinvolto. 

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti tutti gli indagati erano, infatti, “consapevoli di operare intercettazioni in modo abusivo, circostanza che ad un certo punto viene notata anche dai programmatori”.

La posizione del dipendente D.M., tuttavia, per cui non sono stati disposti gli arresti, è stata alleggerita, nonostante la sua attività di esperto programmatore fosse fondamentale per la riuscita dell’attività, dalla insussistnza di indizi di colpevolezza e dalla sua intenzione di lasciare l’azienda scoperto quale fosse lo scopo del suo operato.

I dettagli dell’operazione scattata questa mattina contro i calabresi coinvolti in ‘Exodus’ (aggiornamento a cura della  redazione di Catanzaroinforma)

Sarebbero oltre 800 le intercettazioni illegalmente trasferite sui cloud (ma la stima è per difetto), 234 delle quali non autorizzate. In corso anche una analisi dei flussi finanziari delle società coinvolte.

Si tratta di attività di captazione ‘trafugate’ che le Procure adottano solo in indagini particolarmente gravi, come quelle che si concentrano sul terrorismo. Il software, inoltre, era stato depositato alla Siae in un cd rom risultato vuoto. L’indagine non si è avvalsa di consulenti tecnici esterni ai nuclei specializzati di carabinieri, guardia di finanza e polizia postale, proprio in considerazione della estrema delicatezza delle indagini.

La Procura di Napoli, ovviamente, ha sospeso le attività di intercettazione con il captatore ‘pirata’ e sta ora effettuando controlli accurati sui software in uso.

Eseguite perquisizioni in altre società che risultano avere usato la piattaforma Exodus e che si trovano nel milanese, a Latina, Caserta e Trieste. Nei cloud, a cui era possibile accedere facilmente, c’erano i dati di indagini in corso, anche per gravi delitti. In alcuni casi c’è stata una duplicazione dei dati tra i server e il cloud, in altri casi i dati venivano esclusivamente dislocati sui cloud all’estero.

Al momento l’indagine riguarda i rapporti tra la E-surv, e le altre società coinvolte, e le Procure. Inoltre per la prima volta sono state adottate particolari tecniche di indagine. Sequestrati due cloud che sono all’estero, sui server virtuali di Amazon, e numerosi dispositivi informatici trovati durante una serie di perquisizioni.

Disabilitati gli accessi ai cloud e congelata una quantità di dati che ammonta a circa ottanta terabyte. Per giorni i cloud sono stati informaticamente cinturati da carabinieri, finanzieri e poliziotti.