Gratteri: collaborazione imprenditori misura nostra credibilità VIDEO foto

I dettagli dell'indagine Malapianta illustrati in conferenza stampa dagli inquirenti 35 ARRESTI, NOMI E VIDEO  

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    di Antonio Capria

    Aveva asservito alle proprie attività criminali i villaggi turistici del litorale ionico tra le province di Crotone e Catanzaro, la cosca di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro, che aveva al vertice Alfonso Mannolo, smantellata con l’operazione “Malapianta” e che ha portato all’esecuzione di 35 fermi e al sequestro di beni per 30 milioni di euro. 

    ALTO LIVELLO DI INDAGINE. “Si tratta di una indagine ben strutturata dal punto di vista probatorio, frutto del lavoro della procura e di una polizia giudiziaria di qualità”. Così il procuratore Nicola Gratteri ha presentato in conferenza stampa gli esiti della operazione. Gratteri ha evidenziato come “senza questi uomini questa indagine non ci sarebbe stata” e ha ricordato come al suo arrivo a Catanzaro in alcune parti del territorio del distretto “c’era la desolazione in termini di uomini, di qualità, di riservatezza e di credibilità”. Per questo Gratteri ha ringraziato i vertici della Guardia di finanza:  il generale Tosti, che ha da poco lasciato l’incarico, e il nuovo comandante generale Zafarana, che ha già garantito al procuratore il potenziamento del contingente calabrese in termini quantitativi e qualitativi, considerando la Calabria come una priorità per il comando generale. 

    UNA COSCA CHE HA RADICI ANTICHE. Quella colpita stamane dalle Fiamme gialle è una cosca storicamente radicata, fra le più antiche, agguerrite e pericolose della provincia crotonese, che già negli anni 70 era riconosciuta da parte del superiore “Crimine” di Polsi ed in rapporti con cosa nostra, che proprio nel centro crotonese aveva impiantato una raffineria di eroina.

    La ‘ndrangheta san leonardese ha, nel corso dei decenni, diversificato la sua operatività criminale passando dal contrabbando di sigarette al narcotraffico, all’usura e alle estorsioni.  Una consorteria – ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto –  nel tempo si è elevata al tavolo della “Provincia” di Crotone, “al punto da avere un rapporto paritetico con il boss Nicolino Grande Aracri. Da rimarcare anche il controllo che l’organizzazione esercitava sull’usura, gestita direttamente dai capi della consorteria e perpetrata anche lontano dalla Calabria, e i collegamenti che la cosca Mannolo aveva con altre cosche per il traffico di droga. Con questa operazione – ha detto ancora Luberto – chiudiamo il cerchio sul territorio di Cutro, impattando tutte le “locali” esistenti, oggi fortemente ridimensionate”.

    L’organizzazione colpita dalle Fiamme gialle faceva capo alle famiglie Mannolo, Trapasso e Zofreo e che vantava ramificazioni operative anche in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e proiezioni estere, da anni esercitava la propria influenza criminale sulle strutture turistiche della zona attraverso l’imposizione del pizzo, l’assunzione di lavoratori e anche costringendo gli operatori ad acquistare beni e servizi da fornitori a loro vicini e ad asssumere personale indicato dal clan. Gli enormi proventi illeciti della cosca, che agiva in rapporti di dipendenza funzionale dalla famiglia Grande Aracri,  erano riciclati in investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. “Era una cosca – ha spiegato il procuratore Gratteri – capace di controllare il respiro di un intero territorio”. “Per decenni  – ha aggiunto il procuratore – quell’organizzazione è stata quasi dimenticata sul piano giudiziario, ma oggi grazie a questa indagine abbiamo dimostrato c’era una ‘locale’ di ‘ndrangheta che era intervenuta nella parte vitale di un territorio, quella economica”.

    IL CONTROLLO DELL’ECONOMIA TURISTICA. L’asservimento dei villaggi turistici del litorale ionico fra Crotone e Catanzaro è la sintesi di un progetto delinquenziale condiviso dalle consorterie operanti nella “circoscrizione” criminale di Cutro. Tali imprese, rappresentative di quello che senza dubbio è il settore economico di maggior importanza in questo territorio, soggiacevano al controllo criminale posto in essere con due metodologie distinte: l’estorsione di denaro contante per milioni di euro e il condizionamento e lo sfruttamento della gestione dei servizi quali manodopera, forniture e manutenzioni. In pratica le cosche nel tempo sono riuscite a imporre la loro assoluta egemonia in relazione a qualsivoglia aspetto delle attivitàÌ€ connesse alla gestione delle strutture alberghiere che abbia un profilo economico.

    “L’organizzazione – ha spiegato Gratteri –  riusciva a controllare tutte le attività turistiche e alberghiere, che sono le principali attività in quell’area, riusciva a imporre una nuova forma di estorsione, cioé l’imposizione dell’acquisto di prodotti. Inoltre la cosca rilevava le attività commerciali della zona tanto è vero che abbiamo sequestrato alberghi, bar, ristoranti, distributori di benzina”. 

    Tra le strutture turistiche sottoposte ad estorsione Porto Kaleo e il Serené Village, e “ingerenze mafiose” sarebbero state operate verso altri villaggi della stessa area costiera, come il Santa Monica, il Triton e il Sirio. 

    “La ‘ndrangheta toglie lavoro – ha sottolineato il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Crotone col. Emilio Fiora – perché impedisce lo sviluppo della libera impresa. Di fatto gli appartenenti al sodalizio hanno annullato ogni forma di concorrenza nel settore del turismo della costa ionica calabrese, che invece ha tutte carte in regola per beneficiare di uno sviluppo che può portare a centinaia di posti di lavoro”

    LA COLLABORAZIONE DELLE VITTIME. Fondamentale è stata per le indagini la collaborazione di alcuni imprenditori vittime di estorsione, che hanno deciso di ribellarsi alla cosca: “Questa indagine – ha spiegato Gratteri – ha un valore aggiunto, che va oltre ogni più rosea previsione considerando che siamo in una provincia ad altissima densità mafiosa, con una ‘ndrangheta di serie A come c’è in provincia di Vibo Valentia. E’ successo un miracolo, è successo che imprenditori turistici che gestiscono grosse strutture alberghiere hanno denunciato, si sono ribellati alla ‘ndrangheta. Questo per noi   è un grande evento, non solo sul piano probatorio, ma anche perché ci serve per misurare la nostra credibilità come Dda e come polizia giudiziaria. Possiamo riempirci la bocca di parole, discorsi, frasi a effetto, ma i fatti sono questi: imprenditori che hanno pagato negli anni tangenti anche per 700-800 mila euro e hanno subito estorsioni fatte in tanti modi, che hanno subito imposizioni di ogni tipo, hanno denunciato. Il fatto che questi imprenditori si siano rivolti alla Guardia di Finanza di Crotone e alla Procura distrettuale di Catanzaro ci inorgoglisce, ci carica, è la benzina per andare avanti, ci dice che siamo sulla strada giusta, che in questi anni abbiamo seminato bene e fatto le cose sul serio: questa – ha rilevato il procuratore capo della Dda di Catanzaro – è la cartina di tornasole rispetto a tutti i proclami che possiamo fare. I sostituti procuratori Sirleo e Guarascio, sotto la guida dell’aggiunto Luberto, sono stati molto bravi ad inanellare ed incastrare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia con le intercettazioni e le dichiarazioni delle parti offese. Questo lavoro di indagine può essere studiato in una scuola di formazione della Guardia di finanza”. 

    IL TRAFFICO DI DROGA. Tra le principali attività della “locale di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro” si annovera senza dubbio il traffico di stupefacenti, una delle principali fonti di finanziamento dell’associazione. Sin dagli anni ’90 per le altre cosche del crotonese e non solo i Mannolo hanno costituito un punto di riferimento per il narcotraffico. Le indagini hanno dimostrato come i san leonardesi si sono approvvigionati di droga dalle cosche operanti in provincia di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria e, inoltre, si sono dotati di una ramificata rete territoriale per la commercializzazione del narcotico principalmente su Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello e zone limitrofe in provincia e Catanzaro, San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. Le indagini hanno documentato l’acquisto e la successiva cessione di centinaia di chilogrammi di hashish, cocaina ed eroina. 

    LE CONTRO-INDAGINI E GLI INSULTI A GRATTERI. Oltre al dominio incontrastato del traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e l’usura, praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel nord Italia, la cosca di San Leonardo di Cutro aveva acquisito una fortissima capacità di controllo e monitoraggio del territorio per censire “presenze sospette” di veicoli e  soggetti appartenenti alle forze dell’ordine.  

    Dalle indagini della Dda emerge che il capocosca  Alfonso Mannolo e i suoi sodali, temevano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui scelta veniva da loro giudicata “vergognosa”, ed i magistrati inquirenti di Catanzaro. Contro di loro si sprecavano le ingiurie e il procuratore capo, Nicola Gratteri, veniva accostato, nei loro commenti, a Giovanni Falcone: “un morto che cammina”. Gli indagati esprimono preoccupazione per la perseverante opera della magistratura e il procuratore, in una conversazione fra esponenti del clan Mannolo, viene apostrofato con parole ingiuriose. L’intercettazione risale al 23 gennaio 2018, A parlare sono Remo Mannolo, figlio del boss Alfonso, e Franco Falcone. Alla conversazione partecipano una terza persona non indagata ed un’altra non identificata. Nel corso del colloquio i presenti associavano la figura del procuratore a quella di Giovanni Falcone, definendolo “morto che cammina”, ossia, spiegano gli inquirenti, un uomo consapevole dei pericoli insiti nella sua attività. “Si tratta – è l’interpretazione data dagli investigatori – di considerazioni che non attenevano ad alcun concreto progetto omicidiario. Dalla disamina delle stesse emergeva più una timorosa reverenza”. Nella conversazione, Gratteri è paragonato a Falcone, colpito per avere “superato il limite”. “La frase era criptica – rilevano gli inquirenti – ma carica di significato”. Nell’intercettazione finisce persino il domicilio di Gratteri: “Ma questo dove abita…? a Catanzaro?”, afferma uno di loro, “ma questo ha tutti posti segreti”, risponde un altro interlocutore, fino a chiosare “vabbé, volendo, lo scoprono!”

    I componenti della consorteria criminale erano anche in grado di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti attraverso una oscura rete di fonti e connivenze. Oltre a ciò è stato accertato come gli appartenenti alla cosca effettuavano regolarmente attività di bonifica per il rilevamento di microspie o per eludere le attività di intercettazione. 

    LA PIAZZA DI SPACCIO CROTONESE. In particolare su Crotone la base operativa dello spaccio era situata nel quartiere di via Acquabona. Questo è il “fortino” dove risiedono centinaia di persone appartenenti al gruppo dei cosiddetti “zingari” di Crotone. Caratterizzato da un fitto reticolato di abitazioni, per lo più abusive, connesse da vialetti transitabili unicamente a piedi, dove donne e bambini fanno da vedette per lo spaccio. E’ da considerarsi la piazza di spaccio principale della città. In questo agglomerato si sono creati gruppi criminali i cui capi risultano affiliati alla ‘ndrangheta. 

    I SEQUESTRI. I finanzieri di Crotone hanno individuato e posto in sequestro numerosi beni il cui valore totale è pari a circa 30 milioni di Euro. Sono state sottoposte a sequestro 5 società con sede a Botricello e 5 con sede a Cutro attive in vari settori, dall’edilizia al commercio all’ingrosso e al dettaglio di bevande, materiali per agricoltura, edilizia e una esercente il servizio di posta privata. Fra le unità locali di alcune di queste societàÌ€ vi sono tre stazioni di rifornimento di carburante ubicate in provincia di Crotone e Catanzaro, tre bar e una pizzeria. 

    All’incontro con i giornalisti hanno partecipato anche il comandante regionale della Guardia di Finanza, generale Fabio Contini, e il vicecomandante dello Scico, colonnello Andrea Pecorari.

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