L’INTERVENTO: ‘Madonna a Mare’, il rito antico che ravviva novità

Nei quartieri marittimi e dintorni è vissuta con l’enfasi di ogni momento di gioia


di Domenico Bilotti* – Gli usi popolari e i culti religiosi intrattengono una relazione speciale col mare e con la sua affascinante simbologia. Lo hanno spiegato, per il Cristianesimo, gli storici del diritto canonico e gli antropologi del diritto: se le attività della pesca e della navigazione erano comuni ai luoghi in cui per primo si diffuse il Vangelo, la metafora del viaggio e quella della burrasca sono poi divenute emblemi della vita umana nel suo complesso. 

La costa jonica, forse ancor più di quella tirrenica, ha da sempre ospitato celebrazioni e riti riguardanti il culto che si deve nelle terre affacciate sul mare, dove la distesa d’acqua è fonte di nutrimento, non meno che apprensione, ignoto, insieme pace e smarrimento. Da quando ho iniziato a lavorare a Catanzaro, ormai dal settembre del 2008, ho sempre cercato di vedere sul campo almeno una di queste incredibili celebrazioni collettive ogni anno. Confesso, peraltro, che la mia simpatia verso queste forme consuetudinarie delle liturgie particolari non pretende di chiudersi al carattere devozionale. Se è consentito scomodare un paragone invero inarrivabile, sento la stessa empatia verso i costumi regionali e i loro momenti di tradizione associata che aveva il grande scrittore Machado quando leggeva san Giovanni della Croce e lo trovava “santo” e “poeta” insieme. Del resto, non tutto quel che riguarda la pietà popolare incrocia davvero il paradigma della giuridicità, perciò l’interesse scientifico e la passione personale si intersecano, fanno un tratto di strada insieme e poi sono destinati a distogliersi e separarsi. 

La “Madonna a mare” nei quartieri marittimi di Catanzaro e dintorni è vissuta con l’enfasi di ogni momento di gioia: dalle sfilate delle imbarcazioni alle preparazioni gastronomiche, dai fuochi pirotecnici ai sentiti momenti di preghiera. Bene ha fatto il Vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace Vincenzo Bertolone a parlare della Madonna come riferimento per chi (tutto il genere umano) ricerca un porto sicuro, una tranquillità interiore oltre che meramente esteriore. Un messaggio fondamentale in tempi in cui le migrazioni sollevano, agli occhi dell’opinione pubblica, due opposte retoriche incrociate: chi, con scarso, o inesistente, spirito di carità, invoca inabissamenti, rifiuti, respingimenti; chi predica l’accoglienza, soprattutto se a farla sono gli altri, ma privandola di qualunque contenuto concreto, solidaristico, di qualunque proposta di soluzione.

Queste narrazioni preconfezionate si fronteggiano mentre sul Mediterraneo si continua a morire, senza avere un nome, una sepoltura, un ricordo. Per mare non solo si migra e si muore, per mare ci si cerca da vivere, come insegna la storia di Sant’Erasmo, protettore dei marinai e il cui culto ricevette un grande impulso dall’espansione mercantile di Gaeta. O come ricorda l’adorazione della “Vergine che scioglie i nodi”, la Madonna a cui i pescatori si rivolgevano affinché le reti gettate non finissero l’una sull’altra aggrovigliandosi e disperdendo il pescato: si tratta di un culto importante per il Cristianesimo mediterraneo, sovente ripreso dal Pontefice e oggetto di una serissima rivalutazione anche da parte di pensatori laici come Adriano Sofri, che vi dedica un bel paragrafo ne “Il nodo e il chiodo”. Mentre i pensieri scorrono assieme ai riferimenti e un vento tumultuoso trasporta sabbia e nubi, la festa prosegue. La Madonna a mare, come nello splendido quadro del Botticelli, ha lo sguardo sereno e tiene in braccio un figlio che promette e dona acini di prosperità a chi saprà coglierli a ogni punto cardinale della distesa chiara alle sue spalle.

*docente di Diritto delle religioni Umg